Suo cibo è l’attenzione altrui, sua bevanda l’ammirazione altrui, essere sempre visibile è la sua religione. Gli uomini suoi schiavi sono cerebralmente tutti collegati a lei e tra di loro, formando così, anche se inconsapevolmente, un gigantesco unicum, un corpo e una mente sola con l’unico scopo di usare la bocca come una tromba, un’immane tromba che produce il suono a lei caro, la musica per la sua danza mortale, la frequenza distruttiva del nulla sottoforma di dicerie, pettegolezzi, mormorazioni, conversazioni vuote, commenti inutili, chiacchiere, opinioni. Concepita nella mente umana l’istante in cui l’uomo ha smesso di combattere e di lottare per le reali necessità del vivere, è stata partorita dal desiderio di lasciare un segno, e da allora è diventata la vera e unica occupazione dell’uomo, il suo unico e onnipresente lavoro. Si accende nella mente dell’uomo qualche istante prima della sveglia e il più delle volte non si spegne nemmeno nel sonno.
È l’ambizione. L’ambizione non abbandona mai l’uomo, è il suo anelito più potente, perfino più potente dell’amore, perché l’amore si può facilmente trasformare in ambizione, ma mai l’ambizione può diventare amore. Coinvolge e pilota in modo totale ogni dimensione dell’uomo: sogni, desideri, altruismo, affetti, dedizione, lavoro, leggi, religione, politica, economia, divertimento, sport, cultura. Nella morsa del desiderio di lasciare il segno, può stritolare e piegare facilmente a sé i progetti più giusti, i sentimenti più puri, la dedizione più elevata.
L’ambizione più velenosa non è neppure quella creata dalla propria mente, ma quella acquisita attraverso i legami familiari e le agenzie educative. L’ambizione della madre, del padre, dei tutori emotivi, scolastici e spirituali, nel corso di una vita, non permette neppure la creazione di meccanismi di ambizione propri, perciò la quasi totalità degli uomini passa la vita, lavora, si sforza, soffre per rincorrere e realizzare le ambizioni altrui. L’ambizione non crea nulla di buono, mai. L’ambizione confonde il generico buon gusto e il senso del dovere con il talento, e le proprie aspettative con reali effettive capacità, dove l’ambizione, se non riesce con il successo, ci prova con l’ipocrisia. L’ambizione ricompensa solo se stessa degradando le capacità mentali dell’uomo fino a spegnerle definitivamente. Anche quando sembra sopita e addormentata, basta uno squillo di tromba del successo o del fallimento altrui, una diceria, una mormorazione per ridestarla più potente che mai. L’ambizione non può mai condurre a conoscere, amare Dio, né a vivere e a realizzare le procedure evangeliche.
Essere colpiti dall’ambizione è una tentazione possibile per l’essere umano e si può vincere solamente pregando tanto e nel segreto del cuore e della propria stanza; credere nell’ambizione tuttavia, sceglierla come regina alla quale sottomettersi, praticarla come via della vita, come procedura per vivere, riempie di arroganza, orgoglio e violenza la via della vita terrena e cancella la via al cielo. Gesù dice con forza di stare attenti all’ambizione, soprattutto perché vuole coprire il vuoto di amore verso Dio, verso se stessi e le persone, e annulla ogni luce e ricompensa nei cieli.