Il pentimento accade quando un cuore comprende che Dio, nella sua volontà e Parola, aveva ragione e noi eravamo ingannati a causa del nostro stato di ribellione, di rivolta e di sfida. Pentirsi è riconoscere che la strada, che avevamo intrapreso, non solo non era la strada di Dio e del vangelo, ma non era nemmeno la nostra strada, era piuttosto quella costruita sull’infezione delle nostre ferite, sui terreni scivolosi delle attese altrui, sul marcio delle pretese del nostro ego, dentro l’abisso del possesso e del vortice degli attaccamenti. Pentirsi è mollare la presa, smettere di rimanere attaccati alle nostre sfide interiori, ai nostri attaccamenti, alle nostre convenzioni e convinzioni, per iniziare a lasciarci condurre dal volere di Dio, dalla sua Parola e dalla novità del vento dello Spirito. Pentirsi è capire di non aver capito, non per un atto intellettuale, ma per stretta d’amore al cuore; è accettare umilmente che il nostro cammino interiore, fatto di tanti, tanti sì per nulla onorati, e di tanti no, convertirti in sì, non è altro che un cammino verso l’amore, sospinti teneramente dall’Amore. È il pentimento che risveglia la fede, ma è vero anche che la fede aiuta e genera il pentimento. E se la fede è un atto di conoscenza e di fiducia, di abbandono e intelligenza, il pentimento è sempre, sempre, sempre un atto di amore, quell’amore così imprevedibile e sorprendente in ogni sua mossa che, sulla strada del regno dei cieli, mette peccatori e prostitute in prima fila ad aprire la via a tutti gli altri. Quello che l’umanità non comprenderà nella brezza della misericordia e nell’eccitazione della gioia e della gratitudine, lo dovrà capire nella tempesta degli elementi cosmici e nella disperazione del terrore.