Il nome - Ugo...

Il nome

Ugo, Ivo, Carlo e Mario possiedono una bellissima campagna che fornisce a loro e alle loro famiglie tutto ciò che serve per vivere una vita serena, sana, prosperosa e nel benessere. Ugo, Ivo, Carlo e Mario lavorano tutti insieme nella campagna e dividono in parti uguali tutti i raccolti e i beni di quella terra meravigliosa. Un giorno Ugo, Ivo e Carlo si accorgono che Mario ogni sera ruba dal pollaio galline, dai magazzini sementi e strumenti di lavoro insieme a tante altre risorse indispensabili per la vita di tutti, e che questo ormai avviene da molto tempo. Cosa fare? Recarsi di casa in casa per tutta la regione in cerca di quello che è stato loro sottratto o andare a casa di Mario a reclamare quello che è stato rubato, quello che è il bene di tutti, quello che deve essere diviso in parti uguali per il benessere e la pace di ciascuno? È ovvio, è scontato: Ugo, Ivo e Carlo non busseranno a porte qualsiasi, ma busseranno alla porta di colui che sanno che ha rubato, alla porta di colui che con il suo ingiusto, iniquo accaparrarsi le risorse comuni, si è reso responsabile della miseria, della difficoltà, dell’indigenza di tutti.
In questa parabola – presente solo in Luca – sono narrate due vite in antitesi, la vita di un uomo ricco che non ha nome e quella di un altro uomo di nome Lazzaro che vive alla porta del ricco. Nella mentalità ebraica, e in genere nelle civiltà antiche, il nome di una persona indica la sua essenza, la sua indole, il suo compito, il suo disegno e la sua missione. Il nome di una persona è anche la sua realizzazione. Il greco Lazzaro è la traslitterazione dell’ebraico eleazàr, el ‘azàr, “Dio ha aiutato” o “colui che è assistito da Dio”. Nella bibbia un uomo che ha il proprio nome è un uomo completamente realizzato, che sta compiendo una missione sua propria, particolare. Lazzaro, secondo il significato del nome che porta, è colui che è assistito da Dio, ma allora perché si trova alla porta dell’uomo ricco, come povero, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cade dalla tavola del ricco, mentre i cani vengono a leccare le sue piaghe? Forse il nome che porta e la potenza di Dio non sono sufficienti ad assicurargli l’assistenza adeguata? Perché Lazzaro, il povero con il nome, è alla porta dell’uomo ricco, che nome non ha? Lazzaro è alla porta di colui che, depredando le risorse di tutti per garantire benessere e prosperità a se stesso e alla sua famiglia, è il responsabile della povertà, della fame, della sete, delle piaghe di Lazzaro. Colui che, per sete di dominio, avidità, potere, vanità, depreda i fratelli del loro benessere e della loro serenità, diventa un uomo che per realizzare il proprio ego rinnega la sua vera essenza divina e perciò diventa un uomo senza nome, perde il nome. Gli uomini ricchi, che si sono arricchiti depredando i fratelli, e secondo il testo evangelico la ricchezza è sempre una ricchezza ingiusta e iniqua, perdono il nome davanti a Dio. L’uomo ricco che indossa vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dà a lauti banchetti, vende e compra, in realtà non esiste, non vive, non realizza nulla, non serve a nulla e a nessuno, svuota la sua essenza, si desostanzia interiormente di giorno in giorno, è senza compito, è senza nome.
Quando l’uomo ricco senza nome attraversa il ponte che gli uomini chiamano morte, si rende conto che è stato un nulla, che tutto il suo castello generato per la coltivazione dell’ego è svanito perché non è mai esistito, ma soprattutto si rende conto che è un essere senza nome, e non potrà mai essere chiamato dalla luce ma solo dalle tenebre. La luce di Dio chiama per nome i suoi figli, le tenebre del Maligno chiamano unicamente i senza nome. Lazzaro, depredato in vita di ogni benessere e serenità, non imbraccia il fucile per farsi giustizia, non impreca contro Dio e contro il suo nome, e non rinnega nemmeno il proprio nome, Lazzaro, e non lo fa neppure davanti a quella che può sembrare la più cinica e terribile delle incoerenze. Lazzaro si siede nel corso di tutta la sua vita alla porta di colui che lo ha violentemente depredato di ogni bene, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; perché non è Dio che deve sanare le ingiustizie provocate dall’uomo ogni qualvolta accadano, ma è l’uomo stesso che, con la sua intelligenza e libertà, deve ritrovare le vie della giustizia e della condivisione. Lazzaro è alla porta del ricco non solo per riuscire almeno a sopravvivere con le bricciole cadute dalla tavola del ricco, non solo per evidenziare che quella è la porta da cui si è organizzata l’iniqua situazione dei poveri, ma anche per agevolare l’evoluzione spirituale del ricco senza nome. Lazzaro rimane alla porta del ricco senza nome confidando che prima o poi la sua misera presenza, il suo dolore e le sue ristrettezze faranno breccia in quel cuore desostanziato. Lazzaro resta lì non solo per sfamarsi di briciole, ma soprattutto per aiutare quell’uomo senza nome a ritornare in se stesso, a risvegliarsi all’amore, ad aprire gli occhi e lo spirito, per aiutarlo a cogliere la realtà di se stesso e della vita. In verità, secondo la parabola, il ricco senza nome non si accorge di nulla: hanno occhi e cuore più sensibili e accorti i cani che venivano a leccare le sue piaghe, le piaghe di Lazzaro.
Dio non può costringere i suoi figli ad amarsi e a rispettarsi tra loro per il benessere di tutti, non può impedire che i lupi rapaci depredino l’umanità di ogni bellezza, grazia, ricchezza, serenità, salute e pace, non lo può impedire. Non può impedire che pochissimi individui governino, come spietati avvoltoi, l’umanità intera, sottomettendo al loro dominio tutto e tutti, riducendo la vita della stragrande maggioranza degli uomini di questo pianeta in una misera esperienza di schiavitù, violenza, miseria e ignoranza. Dio non può impedire che i ricchi diventino sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, ma nemmeno può impedire che questi lupi rapaci perdano il loro nome e la loro essenza, tanto che la luce non riesca più a riconoscerli come propri figli e non possa più richiamarli a sé per l’eternità. Non lo può impedire.

Vangelo di Luca 16,19-31

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: 19 «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. 20 Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, 21 bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
22
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 23 Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. 24 Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. 25 Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. 26 Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. 27 E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, 28 perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. 29 Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. 30 E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. 31 Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».