Vivi e morti - Fin dai tempi...

Vivi e morti

Fin dai tempi più antichi, sia i gruppi umani che credevano in una qualche forma di sopravvivenza terrena dei defunti, e riponevano una qualche speranza in una loro vita futura, sia quelli che non avevano elaborato alcuna riflessione sul destino dei morti e sull’aldilà esprimevano la loro pietà per i defunti e i loro sentimenti per i loro cari che erano venuti a mancare, attraverso ritualità, cerimonie, tradizioni che, con il tempo, sono diventati la forma di culto in assoluto più antica e organizzata dell’antichità. Le pratiche religiose, insieme alle cerimonie e ai riti, compiuti in onore di divinità connesse con la sfera funeraria, arrivarono a diventare parte di un autentico culto dei morti, sacro, da rispettare e da venerare. Una concezione comune, che legava diverse tipologie del culto dei morti nelle diverse società umane del passato, era che il defunto continuasse una sua forma di sopravvivenza nella tomba; da qui la necessità che i vivi, i familiari del defunto, garantissero, agevolassero e prolungassero quanto possibile la sua sopravvivenza con adeguati provvedimenti. La tomba era quindi realizzata in modo da sembrare una vera e propria abitazione, la nuova casa del defunto, sia nell’architettura, sia negli arredi. Il culto dei morti si esprimeva anche nei momenti che seguivano la morte attraverso la cura e l’attenzione per i corpi dei defunti. Secondo le usanze, il corpo del morto veniva lavato, rivestito, decorato, a volte veniva unto con oli ed essenze profumate e avvolto in stoffe preziose, e poteva essere sepolto, bruciato, imbalsamato, mummificato. Assieme al corpo erano inumati anche i suoi beni più personali e preziosi, corredi di abiti, gioielli, armi, oggetti di uso quotidiano, ornamenti e scorta di viveri e bevande.
Il culto dei morti si manifestava allora e si manifesta oggi in riti funebri diffusi in tutti i gruppi umani, nella costruzione di luoghi adatti ad accogliere il corpo dei morti, nel modo in cui si conserva la memoria dei defunti. Il culto degli antenati, la venerazione, rivolta ai defunti di una famiglia, di un gruppo, di un clan o di un popolo costituisce un elemento fondante dello spirito religioso di molte popolazioni e un importante fattore di identificazione sociale. Il culto dei morti infatti si lega indissolubilmente alle credenze in una vita futura, alla speranza che almeno una parte dell’essere umano, l’anima, sopravviva alla morte.
Gli induisti e i buddisti, ad esempio, ritengono che, dopo la morte, l’anima torni a reincarnarsi in un essere vivente fino a quando non abbia concluso il ciclo delle vite e non abbia assunto una dimensione puramente spirituale. In altre tradizioni religiose si ritiene invece che, al momento della morte, l’anima intraprenda un lungo e travagliato viaggio verso l’aldilà: secondo questa convinzione, i viventi, attraverso preghiere, offerte, riti e sacrifici alle divinità, possono agevolare questo viaggio verso la dimora finale. Da parte loro le anime che concludono il loro cammino, che diventano da quel momento antenati, acquisiscono potenzialità e forze che possono a loro volta far ricadere sui viventi come grazie, benedizioni, aiuto e sostegno. In molte società esiste un vero e proprio culto degli antenati, perché si ritiene che essi continuino a occuparsi dei viventi e che possano in qualche modo assicurare loro benessere, salute, prosperità, abbondanza dei raccolti, fecondità delle donne. Anche se si tratta di tradizioni religiose diverse, i santi e i profeti delle culture ebraiche, cristiane e islamiche possono essere considerati come degli antenati particolarmente potenti presso Dio, tanto da poter intercedere a favore della comunità dei viventi. Per questo motivo spesso i corpi mummificati o i resti degli antenati diventano oggetto di venerazione e sono ritenuti reliquie. In questo modo le figure di molti antenati, ritenuti potenti intercessori presso Dio, sono stati con il tempo venerati e adorati come divinità. È così che il culto dei morti è diventato fucina di un numero incalcolabile di sempre nuovi dei e divinità lungo tutta la storia umana.
Gesù risorto, nella sua radiosa tranquillità e bellezza, rivela all’umanità qualcosa di meraviglioso e mai prima conosciuto. Rivela il destino dell’uomo dopo il ponte della morte e dice: Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro. Questo è il destino dell’uomo dopo il ponte che gli uomini chiamano morte: salire tra le braccia del Padre di Gesù, Padre nostro e Dio nostro. Chi crede in Gesù non può venerare i morti, non può ritenere sacra la terra dove si seppelliscono i morti, non può in alcun modo seguire il culto dei morti, non può in nessun modo ricordare qualcuno come un morto, perché Gesù ha fatto conoscere all’umanità che non ci sono i morti, ma siamo tutti viventi incamminati verso la casa del Padre di Gesù, Padre nostro e Dio nostro. Chi crede in Gesù non conosce nemmeno termini come morto e defunto, perché sono termini che non spiegano e definiscono nessuna delle realtà esistenti. Secondo quello che ci rivela Gesù, la morte non esiste, i morti non esistono, tutti gli uomini e le donne, che varcano la soglia di questa vita terrena, sono viventi e rimarranno viventi per sempre. Dio è il Dio dei viventi e non dei morti. Gesù non è risorto dalla morte per dimostrare all’umanità la sua potenza, né che lui può vincere la morte, sarebbe ridicolo pensare che Gesù Dio, il Figlio di Dio, abbia dovuto combattere anche un solo secondo con la morte. Gesù non ha bisogno di combattere con nulla e nessuno, né ha bisogno di dimostrare nulla a nessuno. Gesù si è semplicemente e tranquillamente ripreso la sua vita, dopo che il suo corpo terreno è stato violentemente ucciso in croce, non solo perché lui è il Signore stesso della vita, ma perché nel disegno di Dio Padre è previsto che nessuno, nessuno mai possa rubare la vita che non è in grado di donare. È Dio che dona la vita e Dio non ritira mai i suoi doni, perché Dio, oltre a essere puro amore e gioia senza fine, è fedele a se stesso. 
Gesù rivela: Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro. Il nuovo popolo di Dio farà di queste parole il proprio dialogo interiore quotidiano. Su queste parole il nuovo popolo di Dio forgerà ogni forma educativa, ogni spiritualità, ritualità, ogni organizzazione sociale, ogni rapporto umano, ogni relazione, ogni studio, scienza, tecnologia. In queste parole di Gesù c’è tutta la vita per tutta la vita. In queste parole di Gesù è svelato il senso, il significato, la direzione, il valore, lo scopo, il fine di tutta la vita, di ogni vita.

Vangelo di Giovanni 20,1-2.11-18

1 Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. 2 Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!»
11Maria stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro 12 e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. 13 Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?» Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto».
14 Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù.
15 Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». 16 Gesù le disse: «Maria!» Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» - che significa: «Maestro!» 17 Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”».
18 Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.