Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa. Letteralmente non è scritto “per coloro che crederanno in me mediante la loro parola”, ma “per i credenti per la loro parola in-dentro [greco: èis] me” (la preposizione greca èis, “verso, in direzione di”, indica sia moto a luogo, sia stato in luogo, “dentro, abitante, residente in un luogo”).
Coloro che si riconoscono di Gesù avranno la forza di evangelizzare altri uomini, non solo perché conoscono e possiedono la Parola di Gesù e da lui ne hanno ricevuto il mandato, ma prima di tutto perché sono immersi dentro la Parola, perché abitano, risiedono, vivono dentro la Parola e alla Parola stessa si appoggiano e in essa traggono forza. Nel passaporto di colui che ama e desidera seguire Gesù, là dove è scritto: “residente a”, dovrebbe essere annotato “nella Parola sua”.
La Parola di Gesù si può annunciare solo dall’interno della sua stessa Parola, più per residenza che per mandato. Tra conoscere, possedere la Parola e risiederci dentro c’è una differenza cosmica, simile a quella che c’è tra leggere le note di un brano musicale ed essere completamente dentro a un’orchestra che le sta traducendo in vibrazioni, che ne sta suonando la musica. Non si può annunciare la Parola da se stessi, ma solo se si è agganciati da dentro alla Parola stessa. Tuttavia c’è di più.
Come è vero che non si può annunciare il vangelo se non da dentro il vangelo stesso, è anche vero che l’annuncio delle procedure di Gesù deve assolutamente sviluppare unità, unione, condivisione in chi le ascolta. Se il vangelo non conduce all’unità tra le persone, all’unione tra i cuori, non è il cammino di Dio e non conduce da nessuna parte. Gesù prega intensamente perché il sommo bene dell’unità sia parte integrante della vita dei suoi, perché sa perfettamente che nulla ha senso e ha motivo di esistere se, nella meravigliosa diversità dei doni di Dio, chi crede nel Figlio non riesce a portare frutti di unità e condivisione.