Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Letteralmente: Io sono il pastore quello buono-bello [in greco kalòs]. Il pastore il buono-bello la sua vita pone [in greco è usato il verbo tìthemi] per le sue pecore. Porre la vita, dice il vangelo, che non è propriamente dare, come si traduce solitamente. Il verbo tìthemi possiede una molteplicità variegata di significati: “colloco, stabilisco, consacro, offro, faccio, do, pongo giù; pago; metto al sicuro, deposito; dispongo, stabilisco, indico, rendo”. Il sostantivo thèma è “ciò che è stato posto”, richiama l’indoeuropeo dadhami, “pongo”, da cui il latino cònditus, “fondato, saldamente basato; il fondamento, le fondamenta”. Le fondamenta sono le parti profonde di una struttura, sulle quali si costruisce una casa, sono il luogo dove essa si poggia, sono il destino di un edificio, la sua durata, la sua forza, la sua robustezza, il punto di partenza e insieme il punto di arrivo. Le fondamenta sono la parte fondamentale della casa, ma anche quella che non si vede. L’etiopico-egizio wdj, da cui tìthemi deriva, vuol dire “gettare”; esso trova corrispondenza nell’ebraico ya’ad, “stabilire, porre, fissare”, nell’accadico nadu, “stabilire”, e nell’assiro nada’um, “porre”.
Gesù non afferma solo di dare la vita, di offrire la vita per il suo popolo, ma di porla, di destinarla, di stabilirla a fondamento stesso della vita delle pecore. Non si tratta solo di offrire la vita per uno scopo, ma di offrirsi stabilmente, destinarsi totalmente e completamente a quello scopo. Solamente questo concetto, questa verità, che esce dalla bocca di Gesù, dovrebbe estinguere per sempre, completamente e all’istante, dal cuore dei figli di Dio la paura, ogni paura, tutta la paura. Gesù si è destinato, si è auto-posto a fondamenta stesse della nostra vita: chi o quale cosa potremmo mai temere?