Versetto 28, orghìsthe, letteralmente s’indignò con ira.
Alla mensa satanica due sono i cibi più succulenti, prelibati, perciò i più ricercati. Paura e indignazione. La paura dei poveri, dei peccatori, delle vittime e l’indignazione dei forti, dei potenti e di coloro che si ritengono nel giusto. Gli spiriti del male letteralmente s’ingrassano di questa loro linfa prediletta composta di paura e indignazione, fornita direttamente dai circuiti mentali delle persone quando si trasformano in sequenze di pensieri e parole. È questa linfa fatta di paura e indignazione iraconda che rende gli spiriti del male sempre più forti e invincibili in ogni angolo della terra e in ogni tempo.
La paura sgorga irrefrenabile dalla mente e dal cuore del figlio più giovane nel momento in cui, rientrato in se stesso, si rende conto che l’unica realtà reale rimastagli tra le mani sono le sue illusioni usurate e smembrate, e si trova solo e disperato, con la bocca piena di delusione e fango.
L’indignazione sgorga irrefrenabile, in nome della giustizia e della verità, in difesa del bene e della morale, dalla mente e dal cuore del primogenito, che s’identifica con la legge, il dovere e la santità. L’indignazione viene violentemente vomitata in faccia al Padre, con profondo fastidio, condanna e rivolta, fino alla separazione e al conflitto col Padre stesso. L’indignazione sgorga furiosa dal cuore e dalla mente del primogenito, putridamente ammantata di amor di giustizia, nel totale disprezzo per il fratello, attraverso un giudizio insindacabile e una separazione inappellabile.
La paura è vinta e cancellata da un colpo di reni spirituale del figlio più giovane, dalla sua fede nella misericordia del Padre, risvegliata in un istante di consapevolezza, la consapevolezza che l’amore divino mai può abbandonare i suoi figli. La paura del figlio più giovane si scioglie in supplica al Padre e muove alle lacrime le viscere di misericordia del Padre, fino al perdono e alla tenerissima riconciliazione.
L’indignazione velenosa del primogenito non cede, e costringe il Padre a una cosa tanto incredibile quanto innominabile e mai prima raccontata: il Padre supplica il figlio e lo scongiura di non usare quell’indignazione per immergersi nella separazione e rinunciare così alla festa e alla regalità dell’amore. Dice il testo: Suo padre allora uscì a supplicarlo.
Qui c’è qualcosa di assolutamente nuovo e mai sentito su cui riflettere a lungo e profondamente: il perdono di Dio Padre è certo, anzi preventivo, regale, festante, completamente rivivificante. Ed è altresì certo che la supplica del figlio è capace di muovere le viscere della misericordia di Dio Padre fino alle lacrime, all’abbraccio, al perdono, alla festa, alla riconciliazione totale. Ma ciò che non è certo è: può la pur incredibile e razionalmente quasi inaccettabile supplica di Dio Padre ai suoi figli riuscire a muovere all’amore, alla compassione e alla festa la mente e il cuore degli indignati, dei giudicanti, di coloro che a ragione o a torto continuano a giudicare e a condannare nel disprezzo e con fastidio i loro fratelli? Il vangelo lascia la risposta sospesa.
Tra la paura che nasce nel cuore dei piccoli e dei deboli peccatori e l’indignazione iraconda dei perfetti, Satana preferisce in assoluto la seconda, ed è proprio l’indignazione di coloro che si ritengono giusti che sta rendendo gli uomini un peso insopportabile persino alla madre terra e alle potenze del cielo.