Questa sezione presenta quotidianamente il Vangelo del Giorno accompagnato da una riflessione, insieme all'antifona e al Salmo corrispondente, che in alcuni particolari periodi dell’anno liturgico potranno essere musicati e cantati. Ogni giorno potrai vivere la Parola, leggerne il commento e scaricare tutto in formato PDF dalla sezione sinistra del sito.

Mercoledì 14 Ottobre 2020

28a settimana del Tempo Ordinario

Parola del giorno
Lettera ai Gàlati 5,18-25; Salmo 1,1-4.6; Vangelo di Luca 11,42-46

Salmo 1,1-4.6

Chi ti segue, Signore, avrà la luce della vita.

1 Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi,
non resta nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli arroganti,
2
ma nella legge del Signore trova la sua gioia,
la sua legge medita giorno e notte.

3 È come albero piantato lungo corsi d’acqua,
che dà frutto a suo tempo:
le sue foglie non appassiscono
e tutto quello che fa, riesce bene.

4 Non così, non così i malvagi,
ma come pula che il vento disperde;
6
poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti,
mentre la via dei malvagi va in rovina.

Vangelo di Luca 11,42-46

In quel tempo, il Signore disse: «42 Guai a voi, farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l’amore di Dio. Queste invece erano le cose da fare, senza trascurare quelle. 43 Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. 44 Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo».
45
Intervenne uno dei dottori della Legge e gli disse: «Maestro, dicendo questo, tu offendi anche noi». 46 Egli rispose: «Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!»

Krìsis

Gesù lo ripete molte e molte volte. In modi diversi e in diverse occasioni, il cuore pulsante della sua ispirazione proposta all’uomo è uno e uno solo. Lo spiega stupendamente nel capitolo 4 di Giovanni nell’incontro con la samaritana, quando afferma che con l’avvento della sua persona è arrivato il momento di vivere una nuova spiritualità che si genera nell’adorazione spirituale e amante di Dio e nella verità delle azioni. Lo ribadisce in Luca 10,28 quando nell’amore a Dio e al prossimo pone la chiave di tutta la sua proposta. Ora, in questa pagina del vangelo, Gesù lo ripete, anche se in un contesto meno gioioso, mentre cioè sta riprendendo con forza l’ipocrisia e la falsità di alcuni appartenenti alla setta dei farisei e mentre apostrofa duramente i dottori della legge e dice loro: caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito. Gesù ripete che per non vivere più in modo stolto, pericoloso, mortale, distruttivo, ma per vivere nel vero benessere per tutti gli uomini, per vivere in pace e serenamente, è assolutamente necessario vivere e praticare la krìsis e l’agàpe, il giudizio e l’amore.
Krìsis, “giudizio”, deverbativo da krìno, “distinguo, scelgo, ritengo, penso, credo, stimo, stabilisco, decido”. Collegato etimologicamente al latino cèrno, “separo, distinguo”, l’azione espressa dalla radice di questo verbo è “separo dalla paglia, distribuisco, vaglio, setaccio”, meglio, “faccio dei mucchi separati di grano e di paglia”, dall’antico babilonese qaranu, “ammucchiare grano e paglia”, nonché dall’accadico karamu, “separare”. Krìsis indica la scelta, la scelta di essere giusti, di vivere e praticare la giustizia.
Col termine krìsis qui non si intende l’attività intellettuale e spirituale del giudicare, giudicare i fratelli, di sottoporli al tribunale del nostro sguardo inquisitorio, ma quella superiore di fare giustizia vera, vera giustizia che comporta il vero benessere nella condivisione serena e pacifica di tutte le risorse, per tutti gli uomini di questa terra. Fino a che, a ogni manciata di secondi, ci sono nostri simili che muoiono di fame e di sete, qualsiasi altro discorso sulla giustizia, la democrazia, la legge o la solidarietà, ogni altro tribunale e giudizio è un’ipocrita e violenta pagliacciata collettiva.
Insieme al termine krìsis, giudizio nel senso di giustizia, Gesù pone come pratica altrettanto necessaria per la vita felice dell’uomo l’agàpe, l’amore a Dio, che il testo ebraico svela e splendidamente racchiude in: ama il Signore Dio di te con tutta la tua mente-cuore-parte interna, con tutta la tua anima corporata, e con tutto il meglio di te.
Gesù ha posto la giustizia e l’amore a Dio come il vero cuore palpitante nel petto dell’umanità, come il duplice movimento del respiro spirituale e sociale che permette la vita felice all’umanità. Se questo cuore non palpita giustizia-krìsis e amore-agàpe a Dio, se questo respiro s’interrompe, l’umanità entrerà in “crisi”. La crisi è il momento in cui accade un subitaneo mutamento che separa un modo di essere da un altro. Si è in crisi quando un sistema crolla sotto il peso della sua inefficacia e non si è ancora pronti a sostituirlo con un altro. È il momento della sospensione tra uno stile di vita, tra abitudini, convenzioni che si stanno sgretolando sotto i propri piedi e un salto evolutivo che non si è ancora in grado di compiere serenamente e senza rischi.
Quando un sistema entra in crisi, in realtà non c’è altro da fare che trovarne immediatamente un altro di migliore: questo permette l’evoluzione e il vero progresso, altrimenti sono guai, guai seri. In questo senso il guai a voi di Gesù non è una feroce minaccia, ma un’amorevole, anche se decisa, previsione. Gesù preannuncia ai farisei e ai dottori della legge, gente dal cuore duro e dalla dura cervice, che il loro sistema religioso, morale, educativo, sociale, economico è un sistema che, dopo aver soffocato per millenni i popoli, generando sofferenza e morte, ignoranza e paura, ora sta soffocando in se stesso; è un sistema senza giustizia e senza amore per Dio, è un sistema che sta collassando, che è già entrato pesantemente in crisi e, se non vi si porrà rimedio, i guai saranno molto, molto più grossi e devastanti di quanto l’immaginazione possa fornire.
Tra tutte le stoltezze ingannevoli in cui la mente può far affogare le ultime luci dell’intelligenza, l’idea, la convinzione che da una crisi si possa uscire, senza cambiare completamente il sistema che ha determinato la crisi stessa, è in assoluto la più colossale e gigantesca di tutte, perché estende l’agonia del sistema, prolungando il male, la tristezza, l’insicurezza, la paura, la devastazione, la morte.
Coloro che si mettono, con tutte le forze, a cercare di sistemare una crisi, e non mettono mano a tutte le loro risorse per cambiare completamente il sistema fallimentare e compromesso che ha determinato la crisi stessa, sono simili a coloro che, dopo l’evidente fallimento, continuano a voler tagliare un faggio di trecento anni, alto trenta metri, con un pelapatate. Se, dopo l’evidente fallimento, continuano a usare lo stesso sistema, o sono stupidi o sono in mala fede. Se sono stupidi, non c’è niente da fare. Se sono in mala fede, e sono del gruppo dei vantaggi, per cui le crisi per loro sono una fonte di ricchezza e di immani opportunità, non c’è niente da fare. In qualsiasi caso è perfettamente stupido continuare ad affidare la propria vita e le prospettive dell’umanità a stupidi di tal fatta.