Questa sezione presenta quotidianamente il Vangelo del Giorno accompagnato da una riflessione, insieme all'antifona e al Salmo corrispondente, che in alcuni particolari periodi dell’anno liturgico potranno essere musicati e cantati. Ogni giorno potrai vivere la Parola, leggerne il commento e scaricare tutto in formato PDF dalla sezione sinistra del sito.

Martedì 6 Ottobre 2020

27a settimana del Tempo Ordinario

Parola del giorno
Lettera ai Gàlati 1,13-24; Salmo 138,1-3.13-15; Vangelo di Luca 10,38-42

Salmo 138,1-3.13-15

Guidami, Signore, per una via di eternità.

1 Signore, tu mi scruti e mi conosci,
2
tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo,
intendi da lontano i miei pensieri,
3
osservi il mio cammino e il mio riposo,
ti sono note tutte le mie vie.

13 Sei tu che hai formato i miei reni
e mi hai tessuto nel grembo di mia madre.
14
Io ti rendo grazie:
hai fatto di me una meraviglia stupenda.

Meravigliose sono le tue opere,
le riconosce pienamente l’anima mia.
15
Non ti erano nascoste le mie ossa
quando venivo formato nel segreto,
ricamato nelle profondità della terra.

Vangelo di Luca 10,38-42

In quel tempo, 38 mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
39 Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. 40 Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». 41 Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, 42 ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

Essere o sparpagliarsi

Il testo dice: Maria, seduta ai piedi del Signore. Il verbo greco qui usato è parakathìzomai, e, in tutti i vangeli, compare un’unica volta, appunto in questo brano di Luca, come a indicare che l’evangelista si trova davanti a una realtà singolare, particolare, tanto da aver bisogno di una parola inusuale per essere trasmessa e rimanere ben impressa nella mente dell’ascoltatore, del lettore. Formato dalle preposizioni parà, “presso”, e katà, “giù”, unite al verbo ìzo, “pongo accanto, a lato, siedo accanto”, meglio ancora, “soggiorno, mi siedo stabilmente”, dall’accadico izezum, “stare, essere posto, essere collocato”, parakathìzomai significa “mi faccio sedere accanto, a lato, mi faccio stabilire, mi faccio dimorare, mi faccio accampare in modo stabile lì accanto, lì a lato”. Maria è seduta ai piedi del suo Signore, è serva del suo Signore ma non è schiava di nessun altro sulla terra e al mondo. Maria sa stare umilmente e decisamente ai piedi del Signore, per questo non si china affatto ai piedi delle convenzioni, delle convinzioni e delle abitudini dell’addestramento umano, ai piedi delle aspettative dell’etichetta e del galateo. Maria è seduta, è comodamente e morbidamente “inchiodata” ai piedi del Signore e nello stesso tempo il suo spirito è lo spirito di una donna splendidamente e solennemente in piedi, una donna libera, regale, intelligente, grata, autonoma, indipendente, sa cos’è veramente necessario, sa cosa scegliere, sa qual è il suo tesoro, il tesoro che nessuno al mondo potrà mai portarle via.
Marta invece era distolta per i molti servizi. Il verbo qui usato è perispào. Anche qui siamo di fronte a un verbo che appare solo questa volta nei quattro vangeli, e che viene usato nel testo in forma passiva. Perispào significa: “tiro, traggo intorno, strappo, tolgo, porto via, traggo altrove, distraggo”, dalla radice accadica sapachu, “sparpagliare, strattonare qua e là”. Quindi, rispetto a Marta, si traduce: “è tolta via intorno, allontanata intorno, distratta, sparpagliata da”. Marta è in piedi, tutta indaffarata ma in realtà il suo spirito è sparpagliato dalla preoccupazione, distratto dal proprio centro, è uno spirito chino, piegato, schiavo della circostanza, delle abitudini, della forma, della paura di non essere all’altezza, di non corrispondere alle aspettative del momento e alle attese altrui.
Maria ascolta, è interiormente salda, dimora al sicuro e stabilmente, Marta si arrovella, gira intorno, disperdendosi e sparpagliandosi.
Maria, così seduta e centrata, ascolta la Parola che esce dal cuore di Gesù, ascolta le parole di amore che escono dal dialogo interiore del Signore della vita. Marta, così in piedi e sparpagliata, ascolta le parole di rabbia che escono dal proprio cuore, e dal dialogo interiore mortale della propria mente. Marta, decentrata e sparpagliata com’è, si mette al centro della scena e dell’attenzione con parole acide e beffarde di vittimismo, che accusano Gesù e la sorella di negligente abbandono, di disinteresse e mancanza di visione della situazione, di insensibilità e di indifferenza. Marta ascolta e si alimenta delle parole che escono dalla propria mente, parole impertinenti e perentorie che ordinano perfino a Gesù cosa deve fare, visto che non arriva a capirlo da solo: Dille dunque che mi aiuti. Parole amare, con le quali Marta accusa la sorella di averla trascurata, di averla lasciata sola a occuparsi delle cose da fare, parole che rivelano quanto il cuore e la mente di Marta siano immersi nell’invidia, nel pensare male di Gesù, in conflitto con se stessa e con gli atri.
Maria rappresenta un tipo di umanità che per fare il bene si accoccola, si centra ai piedi del Signore, dialogando dentro il cuore e la mente con le parole del Maestro Gesù, senza mai pensare male di Dio. Marta rappresenta quell’umanità che credendo di fare il bene si disperde e si sparpaglia in mille convinzioni e convenzioni umane, preoccupazioni e aspettative altrui, pensa male di Dio e dei fratelli, vive immersa nella tensione provocata dall’invidia, vive per accentrare l’attenzione degli altri su di sé.
Maria desidera essere ricca e, per arricchirsi, fa spazio dentro di sé a Gesù, che riconosce come il suo tesoro, tesoro che nessuno mai le potrà portare via. Marta desidera essere ricca e, per arricchirsi, pretende di avere spazio negli altri che, se non glielo concedono, diventano nemici e avversari da combattere, in un continuo stato di tensione e insofferenza che nessuno mai potrà portarle via.