Questa sezione presenta quotidianamente il Vangelo del Giorno accompagnato da una riflessione, insieme all'antifona e al Salmo corrispondente, che in alcuni particolari periodi dell’anno liturgico potranno essere musicati e cantati. Ogni giorno potrai vivere la Parola, leggerne il commento e scaricare tutto in formato PDF dalla sezione sinistra del sito.

Domenica 20 Settembre 2020

25a del Tempo Ordinario – Anno A

Parola del giorno
Isaìa 55,6-9; Salmo 144,2-3.8-9.17-18; Lettera ai Filippési 1,20c-24.27a; Vangelo di Matteo 20,1-16

Salmo 144,2-3.8-9.17-18

Il Signore è vicino a chi lo invoca.

2 Ti voglio benedire ogni giorno,
lodare il tuo nome in eterno e per sempre.
3
Grande è il Signore e degno di ogni lode;
senza fine è la sua grandezza.

8 Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
9
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature.

17 Giusto è il Signore in tutte le sue vie
e buono in tutte le sue opere.
18
Il Signore è vicino a chiunque lo invoca,
a quanti lo invocano con sincerità.

Vangelo di Matteo 20,1-16

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «1 Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. 2 Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. 3 Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, 4 e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. 5 Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. 6 Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?” 7 Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. 8 Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. 9 Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10 Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. 11 Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone 12 dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. 13 Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? 14 Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te: 15 non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?” 16 Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

I primi

Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. I primi non desiderano che essere primi. I primi tengono alla larga i secondi, sfruttano i terzi, e tutti gli altri per loro non hanno significato, se non per dare energia al meccanismo che garantisce il loro primato. I primi si sentono così primi che ritengono la giustizia un insulto, la bontà uno sgarbo, la condivisione una debolezza, la crescita di tutti nel benessere un inutile spreco. I primi ritengono le regole del loro ingaggio un patto esclusivo, in cui s’identificano ciecamente per il loro esclusivo vantaggio, un privilegio che non può avere né concorrenti, né condivisione con altri. I primi non sono mai disponibili a confrontarsi, non sopportano di perdere, e poi hanno avuto più tempo, molto più tempo di qualsiasi altro per stabilire le regole, le loro regole del gioco, con le quali garantiscono la crescita del loro ego fino a sparpagliarlo troneggiante, gigantesco e sovrano su tutta la terra. I primi stabiliscono le regole, si sentono in dovere di farlo, e se ne arrogano il diritto. Con le loro regole, i primi giocano con l’umanità e la mettono sempre, in ogni occasione, in ogni istante e situazione, senza sosta, senza appello, sempre, sempre, sempre sotto esame. È la regola prima dei primi, mettere sempre tutti e tutto sotto esame, per tutta la vita, in modo tale che la vita stessa si trasformi in un esame continuo e perpetuo. Tenere tutti sotto esame garantisce lo stato di paura, la cultura dell’ambizione, la tensione della sfida, il vuoto della vanità. È la vibrazione di questa frequenza perversa provocata dalla scelta di mettere sempre tutto e tutti sotto esame che, per la legge della risonanza, sta facendo avvicinare per tutta l’umanità il giorno terribile in cui il fuoco della terra e del cielo esaminerà dentro e fuori questa generazione.
Il continuativo stato mentale dell’esame trasforma la parte più ignorante dell’umanità in gelatina adorante e idolatrante, sottomessa, schiavizzata, sempre depressa e umiliata, ottimo materiale per essere sfruttato e gettato senza fastidiosi e imprevisti effetti collaterali. Il continuativo stato mentale dell’esame, trasforma la parte più intraprendente dell’umanità in un meccanismo organico senza cervello, turgido di competizione e sfida, proiettato a tutta velocità verso un futuro che non ci sarà mai, pronto a schiacciare tutto e ogni cosa in nome del denaro e del potere. Il continuativo stato mentale dell’esame trasforma la parte più intelligente dell’umanità in un animale da combattimento, ferito nell’orgoglio e avvelenato dal disgusto, animale che si autoalimenta di rivolta, comunica con furia distruttiva, e l’ira è l’unica compagna che tiene stretta al cuore, è l’ultimo nascondiglio, l’unica via di fuga per la sopravvivenza. Il continuativo stato mentale dell’esame trasforma la parte più religiosa dell’umanità in un bacino stagnante, arginato da rassegnata convenzione nella disperata attesa di salvifiche entità superiori, e intanto vegeta in gruppi e sottogruppi di pedine teleguidate che, nell’inedia e nell’inerzia, generano più danni del male che vogliono combattere.
Il continuativo stato mentale dell’esame non ha potere invece sulla parte più spirituale dell’umanità, la parte che ha un rapporto intimo, continuativo con il Primo, con Dio e non con i primi. Gli uomini e le donne più spirituali, non curanti dei primi, in nome della giustizia e della compassione, si lanciano nel mondo come pecore in mezzo ai lupi, pecore indomabili, invincibili, pacifiche, intelligenti e umili. Ecco perché i primi non sopportano la fede vera, la spiritualità vera, l’umiltà senza sottomissione, la non violenza senza rassegnazione: i primi non hanno nessun potere su chi ama e adora il Primo.
Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più, perché i primi guardano sempre tutto e tutti dall’alto in basso, perfino Dio, le sue leggi universali e la bontà del suo cuore. Ma i primi, in tutta la loro intelligenza, non conoscono o non considerano una legge dominante innegabile: sulla terra, la vertigine è possibile solo guardando dall’alto in basso e non guardando dal basso in alto, in cielo invece è esattamente il contrario, la vertigine terribile e insopportabile sarà solo guardando dal basso della propria condizione verso l’alto, verso la luce sconfinata di Dio. Ecco perché Gesù afferma: Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi. Quale sarà l’allucinante e inconsolabile vertigine interiore dei primi che, dopo aver passato la vita a guardare e trattare tutti gli altri dall’alto in basso, si vedranno, nel loro abisso più profondo, nel punto più basso, a guardare in alto, verso le vette della luce di Dio?