Questa sezione presenta quotidianamente il Vangelo del Giorno accompagnato da una riflessione, insieme all'antifona e al Salmo corrispondente, che in alcuni particolari periodi dell’anno liturgico potranno essere musicati e cantati. Ogni giorno potrai vivere la Parola, leggerne il commento e scaricare tutto in formato PDF dalla sezione sinistra del sito.

Giovedì 18 Giugno 2020

11a settimana del tempo Ordinario

Parola del giorno
Siràcide 48,1-14; Salmo 96,1-7; Vangelo di Matteo 6,7-15

Salmo 96,1-7

Gioite, giusti, nel Signore.

1 Il Signore regna: esulti la terra,
gioiscano le isole tutte.
2
Nubi e tenebre lo avvolgono,
giustizia e diritto sostengono il suo trono.

3 Un fuoco cammina davanti a lui
e brucia tutt’intorno i suoi nemici.
4
Le sue folgori rischiarano il mondo:
vede e trema la terra.

5 I monti fondono come cera davanti al Signore,
davanti al Signore di tutta la terra.
6
Annunciano i cieli la sua giustizia,
e tutti i popoli vedono la sua gloria.

7 Si vergognino tutti gli adoratori di statue
e chi si vanta del nulla degli idoli.
A lui si prostrino tutti gli dèi!

Vangelo di Matteo 6,7-15

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 7 «Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. 8 Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate.
9 Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome,  10 venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. 11 Dacci oggi il nostro pane quotidiano, 12 e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
13 e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male.
14 Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; 15 ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe».

Avùn

La parola aramaica con cui Gesù si rivolge all’Elohim è Abbà, invocazione definita ipsissima vox Jesu [la stessa voce di Gesù]. Abbà in aramaico è lo stato enfatico del sostantivo av e a partire da questa forma si costruiscono tutte le altre. In epoca precedente al Nuovo Testamento si trovano forme come Avì, “Padre mio”, Avùna, “padre nostro”, ma non la forma Abbà come è traslitterata nel greco e come appare per la prima volta in Marco 14,36, prima testimonianza di tale termine in questo stato grammaticale.
Etimologicamente abbà nasce dal balbettio infantile. La usavano i bambini per dire “papà” e costituisce un modo molto dolce e affettuoso con cui un semita che parla aramaico si rivolge a un ospite, a un amico caro o a un servitore di cui si fida ciecamente. È l’espressione della tenerezza e della fiducia, della totale intimità, è espressione di onore. Avùn, “Padre nostro”, è segno di vicinanza, è come dire “papi nostro”. Fu una novità straordinaria sentire invocare Dio Abbà, Padre mio, Padre nostro. Dio era nominato Elohìm, il Dio che ha creato i cieli e la terra, il Dio dei Padri, il Dio di Israele; Dio, il Signore, traduzione di YHWH, Tetragramma impronunciabile, ora è Padre, connotazione nuova. Nelle lingue semitiche av/ab  è colui che genera, e il figlio generato sarà sempre denominato bar, “figlio di un padre”. Non è che nell’esperienza ebraica questa fosse un’accezione isolata e del tutto nuova, in quanto Dio chiama il suo popolo figlio/figli: moltissimi salmi riportano momenti in cui Dio afferma amore per i suoi figli. Dio si manifesta cioè da sempre padre amorevole, ma l’idea di Dio come Padre non è centrale nella mentalità di Israele e in qualche modo è una paternità spesso severa e limitata ai soli figli di Israele o una paternità che riprende piuttosto il concetto di padrone e garante dell’ordine dell’universo. In questo senso si può affermare che l’espressione Padre, usata dagli uomini nei confronti di Dio, diventa con Gesù un’esperienza assolutamente nuova, perché nuovo è il rapporto che Gesù dimostra e rivela di avere con l’Altissimo, l’Elohìm. Potessimo raccogliere in un solo punto il suono, l’energia conosciuta e sconosciuta, la luce brillante sprigionata da ogni stella in tutte le galassie nell’universo intero; potessimo unire in questo punto il suono e il canto delle schiere senza numero degli angeli e degli spiriti celesti beati nei cieli dei cieli che da sempre cantano a Dio; potessimo ancora unire in questo punto il canto degli uccelli, di tutti gli uccelli di tutta la terra, insieme al suono e all’energia e alle forze di tutta la natura e di tutti gli animali che abitano e hanno abitato la terra lungo tutta la storia della terra; potessimo concentrare in un solo punto tutta l’energia, la luce, la potenza, la forza, il suono di tutto il creato visibile e invisibile, questo punto di incommensurabile potenza e luce sembrerebbe una candela vicino al sole, se paragonato al punto di luce e di potenza sprigionato dal suono della parola che Gesù quel giorno ha pronunciato rivolto al Padre, in quel nascosto angolo di terra d’Israele: Avùn, “Papà nostro”.
Dal momento in cui Gesù ha pronunciato il suono Avùn, Papà, ogni altra parola, ogni altro rapporto uomo-Dio, ogni altro nome divino, ogni altra appartenenza religiosa e confessionale sono stati adombrati e superati. Avùn è il suono che mostra una strada d’amore verso Dio mai prima rivelata, mai prima percorsa. È il suono che completa ogni altra rivelazione biblica, cancella ogni lontananza, supera ogni reticenza, scioglie ogni ignoranza. Gesù non ci offre solo un nuovo nome di Dio, ma ci rivela chi è Dio, chi è sempre stato Dio, chi sempre sarà Dio per noi, Avùn, Papà. È un punto di luce senza ritorno, dal quale non si può più prescindere, Avùn si è rivelato, ora sta a noi tutti e a ciascuno decidere chi vogliamo essere per lui. Pregare e conoscere Dio come papà non è questione che deve aprire a nuove suggestioni teologiche o a inedite forme di spiritualità emotiva, ma è la realtà, l’unica realtà, la sola realtà che esiste e che tutto fa esistere. Dio è Onnipotente, è Eterno, è Creatore, ma Gesù ci ha rivelato che prima di tutto e oltre tutto Dio è Avùn. Gesù aggiunge poi ad Avùn due termini tanto straordinariamente lontani quanto stupendamente complementari. Aggiunge nostro e che sei nei cieli. Nostro sta a indicare che Dio è papà di tutti gli uomini allo stesso modo, senza alcuna distinzione. Nostro cancella in un istante ogni distinzione operata dall’uomo lungo la storia, riguardo la dignità e la nobiltà di ciascuno degli uomini, e segna definitivamente che ogni distinzione e disparità è sempre e solo frutto di una profonda satanica perversione, è contro Dio e l’uomo. Nostro indica anche che, se l’uomo è in grado di trasmettere la vita ad altri uomini, non è padre di nessuno, e che, seppur generato da altri uomini, l’uomo non ha altro Padre che Dio, e questo ci rende tutti perfettamente fratelli e famiglia. È Avùn perché a lui apparteniamo e in qualche modo lui appartiene a noi, in tutti noi lui abita e dimora in perfetta unità, ma al tempo stesso è Avùn che sta nei cieli, a indicare la sua assoluta trascendenza rispetto a tutto ciò che è creato, perché lui è Spirito.