Questa sezione presenta quotidianamente il Vangelo del Giorno accompagnato da una riflessione, insieme all'antifona e al Salmo corrispondente, che in alcuni particolari periodi dell’anno liturgico potranno essere musicati e cantati. Ogni giorno potrai vivere la Parola, leggerne il commento e scaricare tutto in formato PDF dalla sezione sinistra del sito.

Domenica 22 Marzo 2020

4a di Quaresima – Anno A

Parola del giorno
Primo Libro di Samuèle 16,1b.4.6-7.10-13; Salmo 22,1-6; Lettera agli Efesìni 5,8-14; Vangelo di Giovanni 9,1-41

Il Signore è il mio pastore

Salmo 22,1-6

Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.

1 Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
2 Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
3 Rinfranca l'anima mia.

Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
4 Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.

5 Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.

6 Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.

Vangelo di Giovanni 9,1-41

In quel tempo, Gesù 1 passando vide un uomo cieco dalla nascita 2 e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?» 3 Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 4 Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. 5 Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo».
6
Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7 e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
8
Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?» 9 Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!» 10 Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?» 11 Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: «Va’ a Sìloe e làvati!» Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». 12 Gli dissero: «Dov’è costui?» Rispose: «Non lo so».
13
Condussero dai farisei quello che era stato cieco: 14 era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15 Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». 16 Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?» E c’era dissenso tra loro. 17 Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?» Egli rispose: «È un profeta!» 
18 Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. 19 E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?» 20 I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; 21 ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». 22 Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. 23 Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!»
24
Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». 25 Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». 26 Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?» 27 Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?» 28 Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! 29 Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». 30 Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. 31 Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32 Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. 33 Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». 34 Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?» E lo cacciarono fuori.
35
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?» 36 Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?» 37 Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». 38 Ed egli disse: «Credo, Signore!» E si prostrò dinanzi a lui.
39 Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». 40 Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?» 41 Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite:
“Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».

Sette per vedere

Nel comporre la sceneggiatura di questo episodio l’autore evangelico, per meglio guardare dentro i fatti, si fa guidare dal numero sette e, al tempo stesso, per meglio guidare alla visione di Gesù, conduce il lettore attraverso il ritmo simbolico del numero sette. Sette sono le scene della narrazione e sette sono i dialoghi contenuti, quasi tutti finalizzati a mettere sotto accusa Gesù.
Versetti 1-7, è raccontata la guarigione del cieco nato e vi è il dialogo di Gesù con i suoi discepoli; versetti 8-12, si apre il processo ed è presentato il dialogo dei vicini; versetti 13-17, il cieco guarito viene interrogato per la prima volta; versetti 18-23, vengono interrogati i genitori del cieco nato; versetti 24-34, secondo interrogatorio del cieco guarito; versetti 35-38, dialogo tra Gesù e il cieco; versetti 39-41, discorso di Gesù con i farisei. Sette è il numero che racchiude i valori più importanti dell’uomo e dello Spirito, indica non solo la perfezione, ma anche l’oltre, l’infinito di Dio, la pienezza dell’essere e dell’esistere umano e divino. Perdonare settanta volte sette significa all’infinito, sempre, perfettamente, senza misura e senza misurare, completamente oltre, oltre a ogni calcolo.
Sette volte si ripete in questi versetti di vangelo l’espressione “aprire gli occhi” e sette sono i titoli cristologici – cioè nomi o appellativi che si riferiscono a Gesù nei vangeli per spiegare chi è e qual è la sua missione di salvezza – con cui il cieco vede, incontra, guarda a Gesù. In altre occasioni, pur non essendo ciechi e avendo sotto gli occhi i miracoli e le liberazioni di Gesù dal maligno, alcuni presenti riescono a guardare a Gesù come a un demonio e riescono persino ad affermare: È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni. Il cieco è cieco, ma sembra vederci molto chiaro e molto oltre e non solo definisce Gesù nella sua essenza ma anche nella sua missione: rabbì (versetto 2), l’inviato (versetto 7), l’uomo (versetto 11), il profeta (versetto 17), il Cristo (versetto 22), il figlio dell’uomo (versetto 35) e il Signore (versetto 36). Non vedere la realtà, l’evidenza divina, liberante, amorosa, potente, guaritrice di Gesù, questa è la vera cecità, questo è il peccato vero. Il cuore duro, la mente arrogante, la stupidità sovrana, l’ignoranza eccelsa, questi sono gli impedimenti alla visione, alla semplice realistica visione di Gesù: Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: «Noi vediamo», il vostro peccato rimane. Il sostantivo greco che qui traduce “peccato” è hamartìa, “errore, mancanza, fallo, colpa”, deverbativo di hamartàno, “non colpisco, sbaglio il bersaglio, non raggiungo lo scopo, perdo, erro, mi sbaglio, mi inganno, pecco”. Letteralmente hamartàno significa quindi “non cogliere nel segno”, tanto che in accadico amaru indica “mirare, cogliere un risultato” e amertu, “mira, controllo”. Nelle lingue semitiche le parole da cui hamartàno deriva significano perdere la lungimiranza, la capacità di vedere più in là, di vedere abbastanza, in qualche modo essere ciechi dentro. In pratica il vero peccato è non vedere Gesù, non credere a Gesù, non amare Gesù. Per questo il cieco, che appartiene senz’altro come tutti gli uomini alla schiera dei peccatori, in verità non compie il peccato di cecità interiore, che è l’impedimento più grave, il non vedere, il non guardare a Gesù con tutto il cuore, con amore, o almeno con sano e rispettoso realismo.