Questa sezione presenta quotidianamente il Vangelo del Giorno accompagnato da una riflessione, insieme all'antifona e al Salmo corrispondente, che in alcuni particolari periodi dell’anno liturgico potranno essere musicati e cantati. Ogni giorno potrai vivere la Parola, leggerne il commento e scaricare tutto in formato PDF dalla sezione sinistra del sito.

Sabato 31 Agosto 2019

21a settimana del Tempo Ordinario

Parola del giorno
Prima lettera ai Tessalonicési 4,9-11; Salmo 97,1.7-9; Vangelo di Matteo 25,14-30

Salmo 97,1.7-9

Il Signore viene a giudicare i popoli con rettitudine.

1 Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.

7 Risuoni il mare e quanto racchiude,
il mondo e i suoi abitanti.
8
I fiumi battano le mani,
esultino insieme le montagne.

9 Davanti al Signore che viene a giudicare la terra:
giudicherà il mondo con giustizia
e i popoli con rettitudine.

Vangelo di Matteo 25,14-30

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14 «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15 A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito 16 colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17 Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18 Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
19
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
20
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21 “Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
22
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. 23 “Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
24
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. 25 Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
26
Il padrone gli rispose: «Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27 avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. 28 Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29 Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. 30 E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

Talenti di gioia

Talento, in greco tàlanton, indica un’unità di peso greca, formata probabilmente su modelli orientali, più precisamente sumero-babilonesi. Il suo nome deriva dalla radice indoeuropea tal, “portare”: originariamente, infatti, il talento era il carico portato da un uomo sulle spalle. Dal concetto di peso si è passati, nel tempo, a indicare con il termine talento l’oggetto pesato, cioè la moneta, che nell’antichità era usanza pesare. Un talento era una moneta estremamente preziosa ad Atene, e corrispondeva a più di venti chili di argento. Quando il talento sparì come valuta monetaria, il nome rimase a significare, con valore metaforico, le doti, i doni di natura. Ancor più è stato usato per indicare le ricchezze interiori della persona, le sue inclinazioni spirituali e intellettuali, con riferimento all’inclinazione del braccio della bilancia durante la pesa. Inclinazioni e doni spirituali e intellettuali che sono fornite all’uomo secondo la sua capacità, nel senso proprio di capienza, secondo la propria capacità di carico, secondo quanto un uomo può portare sul proprio dorso, sulla schiena. Il testo evangelico esprime questo concetto così: a uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno. Inclinazioni spirituali e intellettuali che, se sviluppate adeguatamente, diventano capacità nel senso di abilità, perizia, maestria; in questo senso il concetto di talento è inscindibilmente legato all’idea di investimento, di impiego, per moltiplicare il valore del talento stesso.
Per vivere la vita su questa terra, Dio ha fornito ogni uomo di talenti secondo le sue capacità. Moltiplicare i talenti ricevuti in dono da Dio è lo scopo della vita, perché alla moltiplicazione dei talenti corrisponde la moltiplicazione della gioia personale e del benessere per tutti. Chi vive la vita senza moltiplicare i propri talenti non godrà mai gioia sulla terra né sarà mai utile a nessuno, tanto meno al benessere di tutti. Moltiplicare i talenti non significa accrescere l’ambizione, cercare di primeggiare, incrementare la propria fama. Moltiplicare i talenti non significa potenziare l’ego ma mettere all’opera, umilmente e con passione, i doni di Dio per vivere la gioia e creare benessere per tutti. Per l’uomo, moltiplicare i talenti secondo i disegni di Dio significa, da una parte, cercare di fare e compiere, per quanto gli è possibile, ciò che ama e desidera, in modo da non usare la pressione del dovere, dell’imposizione per fare ciò che va fatto; dall’altra, significa amare e desiderare, per quanto gli è possibile, quello che fa e compie per non cadere nella tristezza della schiavitù. Nella vita, è decisivo fare ciò che si ama per moltiplicare realmente ed efficacemente i propri talenti, per portare vero benessere all’umanità; ed è indispensabile amare ciò che si fa, per vivere nella gioia e nella pace. Quando un uomo moltiplica e fa fruttare i propri talenti, secondo i desideri e i disegni di Dio, lo si deduce immediatamente perché è felice, vive nella gioia. La gioia è il contrappeso della bilancia della vita rispetto alle azioni e alle scelte dell’uomo. Tanto più le azioni e le scelte di un uomo sono vissute per moltiplicare i talenti personali, per favorire il benessere di tutti, tanto più aumenta il “peso” della gioia e la bilancia della vita è in equilibrio. Quello che l’uomo compie senza gioia sbilancia la vita e spezza ogni equilibrio personale, psichico, affettivo, fisico. La legge dominante dei talenti è questa: fare ciò che si ama porta frutti di benessere per tutti, amare ciò che si fa porta frutti di gioia e felicità nel cuore.
Chi vive la vita per usare i propri talenti unicamente per la propria felicità, per il proprio vantaggio e tornaconto personale, e non per il vero benessere per tutti, non sta moltiplicando realmente i propri talenti secondo il disegno di Dio, ma sta soltanto sfruttando i propri doni e le proprie capacità per se stesso, e seminerà attorno a sé solo infelicità e miseria. Chi invece vive la vita utilizzando i propri talenti per il benessere di tutti, con passione, zelo, impegno e dedizione, ma senza crescere nella gioia e nella pace con ciò che compie, cadrà nelle fauci dell’intransigenza e del fanatismo. Quando un uomo non trova gioia in quello che compie e vive, prima o poi si lascerà guidare e gestire dapprima dall’ambizione, poi dal dovere, dai sensi di colpa, di seguito dall’imposizione e dalla sfida, fino a cadere in mano alla schiavitù del fanatismo. La gioia è la moneta sonante dello spirito e dell’intelletto, essa indica come procede personalmente e socialmente la moltiplicazione dei talenti secondo i disegni di Dio.
Due atteggiamenti spirituali e intellettuali possono bloccare drasticamente la moltiplicazione dei talenti nella vita di un uomo: la malvagità e la pigrizia. La malvagità è l’atteggiamento spirituale e intellettuale di chi pensa male di Dio, giudica Dio un essere capriccioso, lunatico, duro, che miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha sparso. La pigrizia è l’atteggiamento spirituale e intellettuale di chi, per paura di sbagliare, per paura del giudizio altrui, per paura della fatica e del rischio, non si mette in gioco nella vita con i suoi talenti e le sue capacità e preferisce nascondersi sotto la terra dell’assistenzialismo, dell’inedia, dell’apatia. Quando malvagità e pigrizia si incontrano in un uomo, la situazione di quell’uomo è la più triste e avvilente che possa mai capitare  sotto il sole, ed è allora che la vita, muovendo le sue energie cosmiche, è pronta a portare via a quell’uomo anche quel poco che ha, perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha.