Questa sezione presenta quotidianamente il Vangelo del Giorno accompagnato da una riflessione, insieme all'antifona e al Salmo corrispondente, che in alcuni particolari periodi dell’anno liturgico potranno essere musicati e cantati. Ogni giorno potrai vivere la Parola, leggerne il commento e scaricare tutto in formato PDF dalla sezione sinistra del sito.

Giovedì 11 Luglio 2019

San Benedetto abate, patrono d’Europa

Parola del giorno
Proverbi 2,1-9; Salmo 33,2-11; Vangelo di Matteo 19,27-29

Gustate e vedete

Salmo 33,2-7

Gustate e vedete com’è buono il Signore.

2 Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
3
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

4 Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
5
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato.

6 Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
7
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce.

Vangelo di Matteo 19,27-29

In quel tempo, 27 Pietro disse a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?»
28
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. 29 Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna».

Proprietà

Per chi sceglie Gesù e da Gesù è scelto per incamminarsi verso la propria evoluzione e l’ispirare gli altri a fare altrettanto, il primo passo in assoluto è quello di imparare a superare il sentimento, il bisogno, la necessità, il senso della proprietà. Quando un uomo, con tutto il suo cuore, con la sua intelligenza, l’ingegno e il lavoro giunge a possedere una proprietà di qualsiasi tipo, in realtà è arrivato il momento per quell’uomo di essere completamente posseduto nel cuore, nell’intelligenza, nell’ingegno, nel lavoro da quella proprietà. Chi, in un modo qualsiasi, possiede qualcuno o qualcosa, in realtà da quel qualcuno o qualcosa è posseduto. Nel creato l’uomo può utilizzare ogni cosa e risorsa della natura secondo la proprietà transitoria, cioè nella misura in cui serve alla sua sopravvivenza. In natura non c’è nulla che possa essere privatizzato e, quando qualcuno si arroga qualche diritto di proprietà, si tratta sempre di un furto, di una rapina. Per legittimare la proprietà, che rimane a tutti gli effetti un furto e una rapina, le civiltà umane si sono inizialmente accordate sul fatto che non poteva esserci proprietà senza lavoro. Questa convenzione mentale è diventata poi legge, istituzioni, costituzioni, abitudine sociale, incapace di concepire proprietà senza lavoro. Secondo la linea di questa convenzione è il lavoro che legittima la proprietà, il furto, la rapina della proprietà. Questo tipo di consuetudine mentale, incapace di concepire proprietà senza lavoro, è anche all’origine della concezione secondo cui non può né deve esserci lavoro senza proprietà, fino ad arrivare, ovviamente, ad affermare esattamente il contrario, ossia che può esserci lavoro senza proprietà. Quando l’uomo, ingannato dal miraggio del lavorare e ottenere la proprietà, si è legato contrattualmente al sistema dell’addestramento e del potere politico ed economico, in realtà ha perso completamente la sua libertà naturale di figlio di Dio, il diritto illimitato di poter utilizzare liberamente delle risorse del creato, secondo la legge della proprietà transitoria. In qualsiasi caso, chi cerca di possedere, in realtà è già posseduto ed è un rapinatore della vita, e per questo Gesù raccomanda ai suoi, a coloro che desiderano seguirlo, di non trattenere possedimenti di alcun tipo.
Si possono possedere cose, terra, risorse, ricchezze e si possono possedere e vivere come proprietà anche le persone. Possedere le persone, viverle come proprietà è forse il modo più comune e subdolo di vivere la proprietà e il possesso. Ogni volta che in un rapporto umano, in una relazione affettiva, in un legame familiare viene esercitata pressione, imposizione, intimazione, obbligo, c’è possesso, la relazione è vissuta come una proprietà. Ogni volta che in un rapporto umano, in una relazione affettiva, in un legame familiare viene esercitata una qualche forma di controllo, dominio, supremazia, sottomissione, c’è possesso, la relazione è vissuta come una proprietà. Naturalmente anche i rapporti umani, le relazioni affettive, i legami familiari pagano a caro prezzo la convenzione secondo la quale il lavoro, la fatica, il sudore legittimano la proprietà, ed è così che tutto ciò che costa fatica, lavoro e sudore può essere considerato legalmente una proprietà, un possesso. Per questo motivo, da tempi immemorabili, coloro che trasmettono la vita ad altri esseri umani attraverso il sangue, e si fanno carico con fatica e sudore della loro crescita, li sfamano con il frutto del loro lavoro, possono facilmente considerare i figli una proprietà, possono facilmente trasformarli in un avere, in un patrimonio. Per la stessa convinzione assurda, nelle più diverse culture e religioni, i re possono legittimamente considerare proprietà i loro sudditi, i padroni possono legittimamente considerare proprietà i loro schiavi, i titolari possono legittimamente considerare proprietà i loro operai, i mariti possono legittimamente considerare proprietà le loro mogli, i capi di una religione possono legittimamente considerare proprietà tutti i loro seguaci, i capi delle nazioni possono legittimamente considerare proprietà gli abitanti della nazione, il capo di un monastero può legittimamente considerare proprietà i suoi monaci. Ecco perché Gesù è così risoluto nel ricordare ai suoi discepoli, e a chiunque desideri seguirlo ed evolversi verso il regno di Dio, di non vivere nulla, proprio nulla come proprietà e possesso, in modo particolare i rapporti umani, le relazioni affettive, i legami familiari e dice: Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna. Gesù ci invita, in modo forte e deciso, a lasciare proprietà e possedimenti di qualsiasi tipo perché desidera che i suoi figli siano liberi, tanto capaci di condivisione quanto indipendenti, tanto desiderosi di realizzare la volontà di Dio quanto di diventare autonomi. Solo così i figli di Dio non potranno più essere schiavi dei potenti della terra e dei lupi rapaci che sono a capo delle religioni.

Post scriptum. Proprio in questo giorno in cui la liturgia sceglie questo brano del vangelo nella memoria di San Benedetto abate, patrono d’Europa, può sorgere spontanea una domanda, leggendo un frammento della regola di San Benedetto. Il testo della regola dice: “Nessuno ardisca dare o ricevere qualcosa senza il permesso dell’abate, né avere alcunché di proprio, assolutamente nulla, dato che i monaci non sono ormai più padroni né del loro corpo né della loro volontà”. Gesù invita i suoi discepoli a lasciare tutto per non avere proprietà e possesso alcuno, per non essere ladri e rapinatori della vita, per non essere a loro volta posseduti dalla proprietà. Gesù invita i suoi a seguire e servire il regno di Dio slegati da proprietà materiali e affettive ma non ha mai detto all’uomo di cedere a un altro uomo la propria volontà, il proprio corpo e la propria persona. Gesù non ha mai detto di slegarsi dalla proprietà per consegnare la propria vita nelle mani di un altro uomo e diventare a sua volta la proprietà di un altro. L’uomo non deve mai consegnare a nessun uomo sulla terra la sua persona, la sua dignità, la sua libertà, la sua volontà, la sua fantasia, la sua creatività, la sua capacità di movimento, di decidere, di scegliere, perché è un abominio davanti a Dio e alla sua signoria. Anche se in buona fede e nella sincerità del cuore, chiunque dica ai suoi fratelli: “Nessuno ardisca dare o ricevere qualcosa senza il permesso dell’abate, né avere alcunché di proprio, assolutamente nulla, dato che i monaci non sono ormai più padroni né del loro corpo né della loro volontà”, si sta mettendo al posto di Dio, un posto che non compete nemmeno al più grande tra i santi.