Letteralmente è scritto: Figlio, tu sempre con me sei, e tutte le cose mie sono tue, ma far festa [greco: eufràino] e rallegrarsi [greco: chàiro] bisognava, perché il tuo fratello questo era morto ed è rivissuto, ed era perduto ed è stato ritrovato.
Eufràino: “rallegro, mi rallegro, gioisco”. Etimologicamente è legato al concetto di una mente che pensa bene, infatti eu significa “bene, buono”, e frèn significa “animo, intelletto, senno; mente, intelligenza”, più letteralmente ancora il frèn è il diaframma, il pericardio, il petto, il seno. Quindi questo verbo indica il riprendere un buon animo, il pensare bene e gioiosamente, il possedere un buon proposito interiore.
Chàiro: è il verbo del piacere, del trovare piacere, onore, gioia in qualcosa, significa “mi rallegro, gioisco, sono contento, mi compiaccio”. Chàris è “cosa gradita, grazia”, charà è “piacere”, charìzo significa “compiaccio”.
La gioia del Padre e la festa del Padre con il figlio sono il culmine di tutto il processo del ritorno del figlio perduto. Ogni passo del figlio perduto che torna in se stesso, e poi torna al Padre, è un passo ispirato, incoraggiato, favorito, guidato, illuminato, sostenuto dalla gioia del Padre. È in nome del proprio nome, che ha in sé, da sempre e per sempre, le vibrazioni della gioia, che il Padre aspetta con pazienza infinita il figlio sulla strada del ritorno quando è ancora lontano, che si apre in smisurata compassione e misericordia appena lo vede sulla strada di casa, che gli corre incontro, che gli si getta al collo e lo bacia.Solo perché ancora non conosce il cuore e il nome di Dio, che è gioia, il figlio dice al Padre: ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Ma la gioia del Padre si espande ovunque, tutto invade, e tutto trasforma in festa, festa senza fine. La gioia di Dio tesse il vestito più bello che il figlio ritornato possa indossare, il vestito che segna la ritrovata nobiltà, la regalità, la ricchezza del figlio. La gioia di Dio fonde i metalli più preziosi che diventano l’anello al dito del figlio per segnare la sua altissima e inscindibile unità con la dimensione divina del Padre. La gioia di Dio intreccia i sandali ai piedi, sandali riconsegnati ai piedi, segno questo, nella simbologia antichissima dei popoli nomadi, che un uomo ritrova la sua forza, che riprende il diritto di essere quello che vuole essere e di intraprendere la sua strada. Proprio nell’istante del ritorno del figlio, il Padre compie qualcosa di assolutamente inaspettato e perfino illogico per la mente umana: il Padre, consegnando i sandali ai piedi del figlio, riconsegna al figlio la sua totale libertà, indipendenza, autonomia di scelta. Ora che il figlio è tornato dalla morte, dallo spreco di se stesso, dallo sperpero della vita, ora egli è veramente libero di essere ciò che desidera essere, è un uomo autonomo, indipendente, pronto a realizzare il suo compito e i suoi sogni. La gioia del Padre diventa perfino cibo, alimentazione, diventa il vitello grasso, la pietanza della festa, perché la gioia di Dio è l’alimentazione, il nutrimento della vita, di tutti gli esseri viventi. La gioia del Padre diventa festa, perché la festa è il senso di tutto e di ogni cosa. Dove non c’è festa, non è più vita secondo i desideri di Dio.
La gioia di Dio è all’origine di tutte le cose create, è all’origine della vita, è lo scopo stesso della vita, il suo fine. La gioia è la direzione universale verso cui tutto è proteso, è la direzione stessa dell’amore, della luce, della vita. Se non c’è gioia, non c’è Dio, se non c’è Dio, non c’è gioia. Dove c’è gioia, c’è Dio, dove c’è Dio, c’è gioia. La gioia di Dio è la vibrazione più vicina al suono incommensurabile, inconoscibile, innominabile del nome stesso di Dio. Tutto nei multiversi creati è ordinato alla gioia, tende alla gioia, serve la gioia. L’amore è a servizio della gioia, la libertà è a servizio della gioia, la pace è a servizio della gioia, il benessere per tutti è a servizio della gioia, l’unità è a servizio della gioia. Sono a servizio della gioia il perdono, la preghiera, la compassione, la condivisione, la gratuità, la gratitudine. Se l’amore, la libertà, la pace, il benessere condiviso, l’unità, il perdono, la preghiera, la compassione, la condivisione, la gratuità, la gratitudine non generano gioia, non sono nulla. Ciò che non serve la gioia, non serve a nulla e a nessuno.
Ora, come spiegare al più vecchio dei due fratelli che non servire la gioia non serve a nulla, non serve a nessuno, non conduce alla festa, spegne la vita, l’amore e se stessi?