Questa sezione presenta quotidianamente il Vangelo del Giorno accompagnato da una riflessione, insieme all'antifona e al Salmo corrispondente, che in alcuni particolari periodi dell’anno liturgico potranno essere musicati e cantati. Ogni giorno potrai vivere la Parola, leggerne il commento e scaricare tutto in formato PDF dalla sezione sinistra del sito.

Domenica 31 Marzo 2019

4a di Quaresima – Anno C

Parola del giorno
Giosuè 5,9a.10-12; Salmo 33,2-7; Seconda lettera ai Corìnzi 5,17-21; Vangelo di Luca 15,1-3.11-32

Gustate e vedete

Salmo 33,2-7

Gustate e vedete com’è buono il Signore.

2 Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
3
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

4 Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
5
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato.

6 Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
7
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce.

Vangelo di Luca 15,1-3.11-32

In quel tempo, 1 si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2 I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
3 Ed egli disse loro questa parabola: 11 «Un uomo aveva due figli. 12 Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13 Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14 Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15 Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16 Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17 Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18 Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19 non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20 Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21 Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22 Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23 Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24 perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
25 Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26 chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27 Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28 Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29 Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30 Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31 Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32 ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Gioia

Letteralmente è scritto: Figlio, tu sempre con me sei, e tutte le cose mie sono tue, ma far festa [greco: eufràino] e rallegrarsi [greco: chàiro] bisognava, perché il tuo fratello questo era morto ed è rivissuto, ed era perduto ed è stato ritrovato.
Eufràino: “rallegro, mi rallegro, gioisco”. Etimologicamente è legato al concetto di una mente che pensa bene, infatti eu significa “bene, buono”, e frèn significa “animo, intelletto, senno; mente, intelligenza”, più letteralmente ancora il frèn è il diaframma, il pericardio, il petto, il seno. Quindi questo verbo indica il riprendere un buon animo, il pensare bene e gioiosamente, il possedere un buon proposito interiore.
Chàiro: è il verbo del piacere, del trovare piacere, onore, gioia in qualcosa, significa “mi rallegro, gioisco, sono contento, mi compiaccio”. Chàris è “cosa gradita, grazia”, charà è  “piacere”, charìzo significa “compiaccio”.
La gioia del Padre e la festa del Padre con il figlio sono il culmine di tutto il processo del ritorno del figlio perduto. Ogni passo del figlio perduto che torna in se stesso, e poi torna al Padre, è un passo ispirato, incoraggiato, favorito, guidato, illuminato, sostenuto dalla gioia del Padre. È in nome del proprio nome, che ha in sé, da sempre e per sempre, le vibrazioni della gioia, che il Padre aspetta con pazienza infinita il figlio sulla strada del ritorno quando è ancora lontano, che si apre in smisurata compassione e misericordia appena lo vede sulla strada di casa, che gli corre incontro, che gli si getta al collo e lo bacia.Solo perché ancora non conosce il cuore e il nome di Dio, che è gioia, il figlio dice al Padre: ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Ma la gioia del Padre si espande ovunque, tutto invade, e tutto trasforma in festa, festa senza fine. La gioia di Dio tesse il vestito più bello che il figlio ritornato possa indossare, il vestito che segna la ritrovata nobiltà, la regalità, la ricchezza del figlio. La gioia di Dio fonde i metalli più preziosi che diventano l’anello al dito del figlio per segnare la sua altissima e inscindibile unità con la dimensione divina del Padre. La gioia di Dio intreccia i sandali ai piedi, sandali riconsegnati ai piedi, segno questo, nella simbologia antichissima dei popoli nomadi, che un uomo ritrova la sua forza, che riprende il diritto di essere quello che vuole essere e di intraprendere la sua strada. Proprio nell’istante del ritorno del figlio, il Padre compie qualcosa di assolutamente inaspettato e perfino illogico per la mente umana: il Padre, consegnando i sandali ai piedi del figlio, riconsegna al figlio la sua totale libertà, indipendenza, autonomia di scelta. Ora che il figlio è tornato dalla morte, dallo spreco di se stesso, dallo sperpero della vita, ora egli è veramente libero di essere ciò che desidera essere, è un uomo autonomo, indipendente, pronto a realizzare il suo compito e i suoi sogni. La gioia del Padre diventa perfino cibo, alimentazione, diventa il vitello grasso, la pietanza della festa, perché la gioia di Dio è l’alimentazione, il nutrimento della vita, di tutti gli esseri viventi. La gioia del Padre diventa festa, perché la festa è il senso di tutto e di ogni cosa. Dove non c’è festa, non è più vita secondo i desideri di Dio.
La gioia di Dio è all’origine di tutte le cose create, è all’origine della vita, è lo scopo stesso della vita, il suo fine. La gioia è la direzione universale verso cui tutto è proteso, è la direzione stessa dell’amore, della luce, della vita. Se non c’è gioia, non c’è Dio, se non c’è Dio, non c’è gioia. Dove c’è gioia, c’è Dio, dove c’è Dio, c’è gioia. La gioia di Dio è la vibrazione più vicina al suono incommensurabile, inconoscibile, innominabile del nome stesso di Dio. Tutto nei multiversi creati è ordinato alla gioia, tende alla gioia, serve la gioia. L’amore è a servizio della gioia, la libertà è a servizio della gioia, la pace è a servizio della gioia, il benessere per tutti è a servizio della gioia, l’unità è a servizio della gioia. Sono a servizio della gioia il perdono, la preghiera, la compassione, la condivisione, la gratuità, la gratitudine. Se l’amore, la libertà, la pace, il benessere condiviso, l’unità, il perdono, la preghiera, la compassione, la condivisione, la gratuità, la gratitudine non generano gioia, non sono nulla. Ciò che non serve la gioia, non serve a nulla e a nessuno.
Ora, come spiegare al più vecchio dei due fratelli che non servire la gioia non serve a nulla, non serve a nessuno, non conduce alla festa, spegne la vita, l’amore e se stessi?