Questa sezione presenta quotidianamente il Vangelo del Giorno accompagnato da una riflessione, insieme all'antifona e al Salmo corrispondente, che in alcuni particolari periodi dell’anno liturgico potranno essere musicati e cantati. Ogni giorno potrai vivere la Parola, leggerne il commento e scaricare tutto in formato PDF dalla sezione sinistra del sito.

Sabato 30 Marzo 2019

3a settimana di Quaresima

Parola del giorno
Osèa 6,1-6; Salmo 50,3-4.18-21b; Vangelo di Luca 18,9-14

Salmo 50,3-4.18-21

Voglio l’amore e non il sacrificio.
Oppure: Tu gradisci, o Dio, gli umili di cuore.

3 Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
4
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro.

18 Tu non gradisci il sacrificio;
se offro olocausti, tu non li accetti.
19
Uno spirito contrito è sacrificio a Dio;
un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi.

20 Nella tua bontà fa’ grazia a Sion,
ricostruisci le mura di Gerusalemme.
21
Allora gradirai i sacrifici legittimi,
l’olocàusto e l’intera oblazione.

Vangelo di Luca 18,9-14

In quel tempo, Gesù 9 disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10 «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11 Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12 Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
13
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
14
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Farisego

Nella parabola evangelica, due uomini salgono al tempio a pregare. Questi due uomini si comportano con Dio e dialogano con Dio in modo completamente differente, perché opposta è la loro visione di Dio e di se stessi.
Il fariseo, pur credendo di rivolgersi a Dio, parla a se stesso, si rivolge a se stesso, e prega tra sé. Il fariseo è l’immagine perfetta dell’ego, della finta e illusoria idea di se stesso con cui la mente sostituisce il vero sé divino dell’uomo. L’ego del fariseo, il farisego, ringrazia Dio perché nella propria mente è chiaro e inconfutabile che la volontà divina l’ha creato come un essere superiore che può stare lì, ritto in piedi davanti a Dio, come appartenesse a una razza superiore rispetto a tutti gli altri uomini peccatori e imperfetti. Il farisego non prega Dio ma si mette al posto di Dio per compiere il suo personale giudizio universale: egli giudica, separa, decreta, definisce, salva, condanna. Il farisego si rivolge a Dio per elogiare se stesso e per elencare ed enumerare a Dio tutti i propri meriti, per ricordare a Dio come la propria perfezione sia frutto non solo della propria superiorità creaturale ma anche della più ferrea e inamovibile forza di volontà, pagata col prezzo della più devota e puntuale osservanza di tutte le norme e le leggi prescritte. Il farisego non ama Dio e non gli interessa essere amato da Dio, è evidente. Il farisego ha un unico obiettivo, accontentare Dio. Accontentare Dio è il modo più consueto con cui il farisego crede di potersi assicurare, tra il suo pubblico applaudente, anche Dio. All’ego non interessa nulla degli altri e di Dio ma vive per accontentare e appagare gli altri, Dio compreso. Perché? Perché esaudendo i finti desideri degli altri, corrispondendo alle loro aspettative indotte, soddisfacendo le loro richieste parossistiche, l’ego riceve approvazione, prestigio, potere, autorità, genera dipendenza reciproca, possesso, e in questo modo si riempie di sé e distrugge ogni unione e legame d’amore. Il farisego fa tutto quello che fa per appagare Dio, soddisfarlo, accontentarlo, come se Dio si potesse pagare, accontentare, soddisfare con qualcosa.
Il pubblicano, invece, il peccatore che sale al tempio per pregare, si rivolge a Dio letteralmente così: o Dio, sii benevolo [greco: ilàskomai] a me, peccatore [greco: amartolòs]. Il verbo Ilàskomai, dal tema ìla, “schiera, squadra”, significa “placo, mi rendo benevolo, mi rendo propizio”; al versetto 13, ilàskomai è presente in forma di imperativo passivo: “rendi te stesso placato, renditi benevolo”. Etimologicamente questo verbo è legato alla gioia. Il suo significato originario è “rendere onore alla divinità celebrando per essa riti gioiosi”, infatti gli accadici elesu, “far festa, rallegrarsi”, elsis, “gioiosamente”, e alalu, “cantare una canzone di gioia” sono tutti vocaboli etimologicamente collegati a questo verbo, così come l’ebraico hillèl, “lodare, esaltare”, e il neobalilonese elelu, “canto di gioia”.
Mentre il farisego è convinto di appagare e accontentare Dio, in nome di tutte le cose perfette da lui compiute nel rispetto delle regole, delle norme e della legge, il pubblicano peccatore implora da Dio gioia e contentezza, nonostante tutto quello che lui ha compiuto smarrendo la strada, facendo errori e compiendo peccati. Il peccatore è consapevole di non essere un essere superiore, di non appartenere a nessuna razza perfetta, ma di essere un uomo smarrito, in greco amartolòs, “lo smarrito, colui che ha errato”, nel senso di “colui che vaga fuori strada”. Amartolòs è lo sviato, colui che ha mancato il bersaglio, che continua a sbagliare mira, che è fuori rotta e continua a esserlo in modo continuato. Amartolòs è colui che, sbagliando continuamente mira rispetto alla vita e all’amore, compie i peccati, e diventa debitore rispetto alla vita e all’amore. Lo smarrito trova la strada per andare al tempio a pregare, e trova la strada verso se stesso e Dio, e, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto chiedendo a Dio gioia verso di sé, nonostante le proprie azioni e il proprio smarrimento. Mai come agli occhi così abbassati davanti a Dio è dato di vedere così in alto. Mai come al cuore così contrito e battuto nel petto è dato di sentire il suo ritmo e il suo canto d’amore al cuore di Dio. L’imperativo passivo che il testo evangelico mette in bocca allo smarrito, e che Gesù evidentemente ispira ai suoi amici per usarlo sempre nella preghiera a Dio, è di una potenza, di una bellezza, di una grazia inusitata e sconvolgente. Sconvolge tutti i piani conosciuti, tutte le convenzioni e le convinzioni umane rispetto al rapporto e al dialogo dell’uomo con Dio. Lo smarrito dice letteralmente a Dio: rendi te stesso placato, renditi benevolo, gioioso nei miei riguardi. Lo smarrito non ha nulla da presentare a Dio per accontentarlo, non ha meriti per renderlo contento di sé, ma chiede a Dio contentezza e gioia nei propri riguardi, in nome della propria, cresciuta consapevolezza e in nome di un cuore amante e umile. Gesù èlapidario: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato.