Questa sezione presenta quotidianamente il Vangelo del Giorno accompagnato da una riflessione, insieme all'antifona e al Salmo corrispondente, che in alcuni particolari periodi dell’anno liturgico potranno essere musicati e cantati. Ogni giorno potrai vivere la Parola, leggerne il commento e scaricare tutto in formato PDF dalla sezione sinistra del sito.

Martedì 26 Marzo 2019

3a settimana di Quaresima

Parola del giorno
Danièle 3,25.34-43; Salmo 24,4-5b.6.7c-9; Vangelo di Matteo 18,21-35

Salmo 24,4-5b.6.7c-9

Ricòrdati, Signore, della tua misericordia.

4 Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
5 Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza.

6 Ricòrdati, Signore, della tua misericordia
e del tuo amore che è da sempre.
7 Ricòrdati di me nella tua misericordia,
per la tua bontà, Signore.

8 Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
9 guida i poveri secondo giustizia,
insegna ai poveri la sua via.

Vangelo di Matteo 18,21-35

In quel tempo, 21 Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?» 22 E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. 23 Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. 24 Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. 25 Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. 26 Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. 27 Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
28
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!” 29 Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. 30 Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
31
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. 32 Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: «Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. 33 Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?»
34
Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 35 Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Makrothýmeson

Due servi chiedono e invocano: abbi pazienza. L’invocazione abbi pazienza traduce il greco makrothýmeson. Il primo servo invoca il padrone di avere pazienza, il secondo servo invoca un altro servo di avere pazienza.
Nel primo caso il servo invoca makrothýmeson e il padrone, in risposta, offre compassione, dice il testo: ebbe compassione. Il verbo greco usato per esprimere il moto di compassione del padrone è splanchnìzomai, “mi muovo, sono mosso a pietà, compassione”. Anticamente splànchna indicava le parti interne – le viscere, cioè lo stomaco, il cuore, i polmoni, la milza, il fegato, i reni, l’intestino – degli animali immolati come offerta sacrificale alla divinità che, per regolamento di culto, erano parte del risarcimento del lavoro di sacerdoti e sacerdotesse. Il verbo splanchnìzomai significa quindi letteralmente “consumo le viscere”, e riferito agli uomini sta a indicare che coloro che servono Dio devono essere consumati di compassione e di amore per l’umanità fin dalle viscere. Nel secondo caso il servo invoca makrothýmeson e il servo in risposta offre la volontà, la decisione di non avere compassione. Tutti e due i servi chiedono makrothýmeson, abbi pazienza, ma le risposte che ricevono sono diametralmente opposte.
Cosa significa letteralmente makrothýmeson? Il verbo greco makrothymèo, denominativo da makròthymos, “longanime”, è composto da màkro di makròs, “lungo”, unito a thymòs, “animo, mente”, e significa “sono paziente, tollerante”. Un altro significato è “sono lontano dalla rabbia”, se si considera che màkro indica anche “lontano” e thymòs “rabbia”. Tutti e due i servi dunque implorano: tieni lontana la tua rabbia da me, ossia abbi pazienza, sii paziente, longanime, tollerante. Il servo che implora pazienza dal padrone, che supplica: stai lontano dalla rabbia nei miei confronti, riceve compassione. Il servo che implora pazienza dal servo che ha appena ricevuto compassione dal padrone, che supplica: stai lontano dalla rabbia nei miei confronti, riceve condanna. Perché? Perché stare lontani dalla rabbia, aver pazienza, offrire compassione è una scelta, una scelta interiore e definitiva dello spirito e della mente. Il padrone fa qualcosa di nuovo, di inaudito, ispira a una procedura sconosciuta e sconvolgente. Il padrone ascolta l’invocazione del servo con pienezza ma non guarda ai motivi razionali per cui il servo è realmente colpevole, non si sofferma sulle ragioni per cui sarebbe giusto colpire, non misura la colpa per cui sarebbe ragionevole condannare, non soppesa il danno per determinare quanto il suo servo debitore debba pagare secondo le leggi, le norme e i principi. Il padrone guarda solo e unicamente la propria scelta, la propria scelta definitiva e irremovibile, la propria scelta di seguire la procedura della vita, dell’amore, della pace, della felicità. Makrothýmeson, l’invocazione del servo, fa scattare una scelta già presa, fa muovere le viscere di misericordia e di compassione, perché il padrone ha scelto in cuor suo di tenere per sempre lontana la rabbia dalle proprie viscere e tenere sempre vicino a sé la compassione. Il servo che viene implorato dall’altro servo fa qualcosa di vecchio, conosciuto, ripetitivo, che da tempo immemorabile blocca ogni evoluzione, spegne l’intelligenza, avvelena la vita, genera conflitto e distruzione. Il servo ascolta l’invocazione di un suo pari con disprezzo, con superiorità e arroganza, con sguardo inquisitorio guarda unicamente ai motivi razionali per cui il suo debitore è realmente colpevole, si sofferma sulle ragioni per cui è giusto colpire, misura la colpa per cui è ragionevole condannare, soppesa il danno in tutte le sue complicanze, per determinare quanto il suo collega debitore debba pagare secondo le leggi, le norme, i princìpi. Il servo prende per il collo il suo pari e lo soffoca, perché guarda solo e unicamente alla propria scelta, la propria scelta definitiva e irremovibile, la propria scelta di seguire la procedura della morte, della legge, della vendetta, della rabbia. Makrothýmeson, l’invocazione del debitore, fa scattare nel servo dal cuore duro una scelta già presa, fa muovere le viscere della rabbia, della condanna, perché quel servo ha scelto in cuor suo di tenere per sempre lontana la compassione dalle proprie viscere e tenere sempre vicino a sé la rabbia. Il padrone tiene lontana la rabbia perché segue una direzione già presa, la direzione del perdono e della compassione. Il servo si immerge nella rabbia perché segue una direzione già presa, la direzione del giudizio, della condanna, della vendetta. Il servo malvagio è malvagio non perché non ha perdonato suo fratello, ma perché, alla luce del condono totale dei propri debiti da parte del padrone, non si è lasciato illuminare per cambiare la scelta definitiva del proprio cuore, ha mantenuto la scelta di tenere vicina la rabbia e di scaricarla, pur sotto la copertura della giustizia e della legalità, su suo fratello, per distruggerlo.
L’invito di Gesù non è quello di perdonare tante volte, ma di scegliere definitivamente il perdono come direzione del cuore e dell’intelligenza. L’invito di Gesù è di tradurre la gratitudine per il condono compassionevole da parte del Padre di tutti i nostri debiti in scelta definitiva di compassione per i fratelli. L’invito di Gesù è di stare lontani dalla rabbia perché distrugge la vita, avvelena il corpo, separa da se stessi, da Dio, dagli altri ed è sempre, sempre, sempre distruttiva. Non esiste rabbia che non operi distruzione e morte. Colui che si arrabbia con il fratello, lo giudica, lo condanna, per vendicarsi dei torti e delle ingiustizie, lo fa inquisire dalla legge e dalla giustizia degli uomini, è un servo malvagio, un servo spietato, perché con questo suo atteggiamento è come affermasse davanti all’uomo e a Dio: io non sono debitore, non ho bisogno del condono dei miei debiti da parte di Dio. Per questo, ai servi malvagi, Dio stesso un giorno dirà: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello.