Questa sezione presenta quotidianamente il Vangelo del Giorno accompagnato da una riflessione, insieme all'antifona e al Salmo corrispondente, che in alcuni particolari periodi dell’anno liturgico potranno essere musicati e cantati. Ogni giorno potrai vivere la Parola, leggerne il commento e scaricare tutto in formato PDF dalla sezione sinistra del sito.

Lunedì 18 Marzo 2019

2a settimana di Quaresima

Parola del giorno
Danièle 9,4b-10; Salmo 78,8-9.11.13; Vangelo di Luca 6,36-38

Salmo 78,8-9.11.13

Mostraci , Signore, la tua misericordia.

8 Non imputare a noi le colpe dei nostri antenati:
presto ci venga incontro la tua misericordia,
perché siamo così poveri!

9 Aiutaci, o Dio, nostra salvezza,
per la gloria del tuo nome;
liberaci e perdona i nostri peccati
a motivo del tuo nome.

11 Giunga fino a te il gemito dei prigionieri;
con la grandezza del tuo braccio
salva i condannati a morte.

13 E noi, tuo popolo e gregge del tuo pascolo,
ti renderemo grazie per sempre;
di generazione in generazione narreremo la tua lode.

Vangelo di Luca 6,36-38

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 36 «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.
37
Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. 38 Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».

Oiktìrmon

Indicando all’uomo questa procedura Gesù svela all’umanità prima di tutto che il Padre, Dio Padre, è misericordioso, caratteristica divina che viene generalmente tradotta in greco con due aggettivi: eleèmon (che in ebraico trova corrispondenza nel termine chesèd) e oiktìrmon (che in ebraico trova corrispondenza nel termine rachamìm). Qui, in questo versetto di Luca compare oiktìrmon, ed è l’unica volta che questo aggettivo compare nei testi evangelici.
Oiktìrmon
, deverbativo di oiktìro, “ho compassione” – verbo di origine onomatopeica, connesso con òi òi, oiòi, iterazione dell’espressione di dolore “ah!, oh!, ahimè!” –, significa “compassionevole, misericordioso, comprensivo”: nel testo aramaico del vangelo, la Peshitta, tale aggettivo è tradotto con mrachmòno, “misericordioso, compassionevole”, dalla radice semitica rchm, indicante “viscere, interiora, grembo”. L’ebraico rachamìm, “viscere materne”, traduce il concetto di “grembo materno di Dio”, e quindi la sua misericordia, la sua bontà, la sua tenerezza di madre. Rachamìm è la metafora ebraica per dire “l’amore di Dio”: il Padre è il visceralmente innamorato dell’uomo – spesso nelle Scritture sacre si parla di “viscere di misericordia” di Dio come espressione del suo amore –, è il Padre e la Madre della tenerezza. L’aggettivo greco oiktirmòn è molto ricco di significato e rivela la potenza della misericordia di Dio, e se il più frequentemente usato eleèmon pone l’accento sul valore energetico, funzionale dell’azione della misericordia, oiktirmòn accentua l’effetto interno della misericordia, il movimento dell’atto della misericordia. Significa amore vissuto intensamente.
Ma concretamente come si realizza il movimento della misericordia, la forma energetica della più potente espressione dell’amore, dell’intimo amore viscerale? Indicando all’uomo la procedura della misericordia, Gesù svela all’umanità anche come si vive la misericordia, come si produce e si genera, quali sono i principi e le azioni della misericordia.
Nei versetti 37 e 38 di Luca 6 è espresso chiaramente quali sono le due azioni che, se compiute, impediscono di generare misericordia, e quali invece le due da compiere per poterla generare.
Le due azioni da non fare, perché non appartengono mai al mondo e all’energia della misericordia, sono giudicare e condannare. Il testo dice non giudicate, in greco mè krìnete – il verbo krìno si collega all’antico accadico karawu, “separare”, e significa “distinguo, scelgo, ritengo, stabilisco, decido, processo, accuso” – e non condannate, in greco katadikàzete – formato da katà, “contro”, unito a dikàzo, “rendo giustizia”, katadikàzo significa “vado contro il rendere giustizia, condanno”. Non giudicare e non condannare perché il giudizio e la condanna non appartengono mai alle vibrazioni sananti e salvifiche della misericordia di Dio, ma alle vibrazioni velenose e distruttive del sistema del possedere di Satana. Giudicare è sempre separare, condannare è sempre entrare in conflitto, sempre, immancabilmente.
Le due azioni da fare, perché appartengono sempre al mondo e all’energia della misericordia, sono perdonare e donare. Il testo dice perdonate, in greco apolýete – formato dalla preposizione apò, “via da, lontano da”, e dal verbo lýo, “sciolgo, libero, slaccio, pongo termine a un’unione, a un vincolo, riscatto”, apolýo significa “sciolgo, libero; lascio andare, slego” – e date, in greco dìdotedìdomi non è solo dare, è anche “donare, affidare, prestare, rendere, permettere, assicurare, garantire, concedere, dare la possibilità di qualcosa a qualcuno, fare, creare”. Perdonare, cioè lasciar andare in modo consapevole e amante ciò che ci è già stato tolto, e donare, donare gratuitamente e con generosità, appartengono sempre alle vibrazioni sananti e salvifiche della misericordia.
Non giudicare, non condannare, perdonare e donare di cuore è generare misericordia, è misericordia. Poi Gesù aggiunge qualcosa di veramente luminoso riguardo alla misericordia, infatti dice: con la misura con cui misurate sarà misurato a voi, affermando in realtà che la misericordia non è solo una scelta di come amare e di quanto amare, ma è un vero e proprio movimento interiore di misurazione, un criterio spirituale e psichico per misurare la vita, gli eventi, le persone. Se un uomo misura i suoi simili con la misura dello sguardo inquisitore del pregiudizio, dell’invidia, dell’avidità, della supremazia, dell’arroganza, la vita così misurerà a lui. Se un uomo misura i suoi simili con la misura dello sguardo della compassione, del perdono, della comprensione, della gratuità, della gratitudine, dell’umiltà, la vita così misurerà a lui.
Tanto più un uomo allarga e rende capace il sacco delle viscere della propria misericordia verso gli altri, attraverso il non giudicare, il non condannare, attraverso l’esercizio del perdono e della gratuità, tanto più quell’uomo è capace, ha viscere capaci, capienti, per accogliere e contenere una misura buona, pigiata, colma e traboccante che gli sarà versata nel grembo dalla vita e da Dio.