Il nome
Colui che nella vita desidera con tutto il cuore prima scoprire e poi compiere il compito per cui è nato sulla terra, non può in nessun modo mantenere legami di dipendenza con i propri cordoni ombelicali, con la propria famiglia di origine, con le culture, le ideologie, le religioni costruite dagli uomini. Colui che nella vita desidera con tutto il cuore prima scoprire e poi realizzare felicemente e in modo fruttuoso i suoi talenti, deve assolutamente staccarsi da ogni forma di dipendenza umana e insieme deve essere in grado di rinunciare, con indeformabile determinazione, ai propri interessi personali. Colui che desidera con tutto il cuore servire Dio e l’uomo, può vivere potenti e ricchissime relazioni d’amore con le persone ma non deve in alcun modo dipendere da esse, per dipendere solo e unicamente da Dio.
Quando un uomo nasce sulla terra porta già con sé e in sé un nome, il nome con cui Dio stesso l’ha chiamato alla vita, secondo il suo compito e la sua ricchezza, nobiltà e regalità peculiari. Il nome che gli uomini ricevono dagli altri uomini nel giorno della nascita non è altro che un’etichetta sonora che serve a identificare il neonato come figlio di una discendenza umana e non come figlio di una discendenza divina. Il nome umano segna la continuità umana, il nome divino segna la continuità divina nella discontinuità umana. Colui che rimane attaccato ai propri legami ombelicali e dipendente dalla propria famiglia e dalla propria storia culturale, dalla morale di provenienza, consciamente o inconsciamente egli afferma dentro di sé e si consacra davanti al mondo come un vecchio figlio delle generazioni umane e non come un nuovo figlio di Dio.
Davanti alla scelta di etichettare il piccolo appena nato di Elisabetta con un nome che ne sottolinei la continuità generazionale umana, Elisabetta, la madre, esclama: No, si chiamerà Giovanni. Perché? Perché Elisabetta e Zaccaria sono consapevoli che quel figlio, pur essendo figlio di seme terreno, per essere ciò che dovrà essere, non dovrà mai per un solo istante pensare di essere figlio della generazione umana, un prolungamento genetico, un seme di continuità umana, nemmeno dal suono del suo nome. Gesù stesso rivela nel vangelo che, come seme di discontinuità umana e continuità divina, Giovanni l’Immergitore è un seme stupefacente per potenza e frutto, è il grande tra i nati da donna, ma al tempo stesso Gesù ci rivela che il più piccolo del regno dei cieli, che decide di essere servo del Regno, staccandosi dai suoi legami umani, può essere un seme di discontinuità umana e continuità divina ancora più potente e fruttuoso di Giovanni.
Colui che con tutto il cuore desidera scoprire il proprio dono e realizzarlo nella gioia e con frutto, deve decidere in cuor suo se su questa terra vuole essere continuità umana e discontinuità divina o discontinuità umana e continuità divina. Ogni atto di consacrazione a Dio è reale e fruttuoso solo e unicamente se chi si consacra è consapevole che quella consacrazione è un atto di continuità divina e di discontinuità umana.