Distratti
Letteralmente al versetto 32 è scritto: Ma essi non comprendevano la parola, e avevano paura di interrogarlo […] Gli uni con gli altri avevano discusso nella via chi fosse il maggiore. Il testo dice che i discepoli da una parte non comprendevano la Parola di Gesù e dall’altra avevano paura solo al pensiero di interrogarlo, per capirne qualcosa. La mente dei discepoli è da una parte immersa nell’ignoranza e dall’altra nella paura. Perché i discepoli sono incatenati tra l’incapacità di comprendere, l’ignoranza e la paura? Il testo evangelico lo spiega subito dopo, quando dice: Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. I discepoli vivono nell’ignoranza e nella paura perché sono distratti, distratti dalla distrazione somma, dalla distrazione suprema, l’ambizione.
Ignoranza e paura sono le due catene che i poteri forti del mondo usano per tenere incatenati, sottomessi e schiavi i popoli. Ma in che modo si può tenere l’umanità incatenata all’ignoranza e alla paura, senza che l’uomo cerchi di liberarsi da queste catene? Semplice. Basta mantenere l’uomo perennemente distratto con la regina delle distrazioni, l’ambizione. L’ambizione è capace di tenere distratto un uomo per tutta la vita, in tutti gli istanti della vita, perché l’ambizione è purissima coltivazione dell’ego. Fino a che l’uomo coltiverà il suo ego, sarà sempre preda dell’ignoranza e della paura e, di conseguenza, immediatamente soggiogabile, controllabile, manipolabile. La coltivazione dell’ego attraverso l’ambizione funziona perfettamente nella mente dei ricchi e dei potenti come in quella dei poveri e dei deboli, e tiene stabilmente occupato e distratto l’uomo, impedendogli qualsiasi forma di consapevolezza, comprensione e l’utilizzo dell’intelligenza. I discepoli di Gesù non comprendono le parole di Gesù perché sono distratti, terribilmente distratti dalla coltivazione del loro ego, sono distratti dal fare tra loro le misurazioni del prestigio e del potere, a fare la bilancia tra chi pesa di più e chi meno, tra chi è più importante e chi è meno importante. I discepoli di Gesù non possono assolutamente comprendere la Parola di Gesù, non possono comprendere quello che Gesù vuole rivelare loro, perché sono completamente distratti dai discorsi della loro mente, sono tutti concentrati a discutere, calcolare e a dividersi tra loro. Il verbo usato dal testo greco per descrivere questa discussione dei discepoli è dialoghìzomai, cioè “penso, ragiono, converso, discuto”, più letteralmente “calcolo, faccio i conti” da cui “rifletto, discuto”. La preposizione dià, che compone il verbo, indica sempre divisione: si tratta di un dialogo di divisione, di opposizione, di separazione. L’ambizione distrae l’uomo dal suo centro divino, dal suo asse intellettuale e spirituale, lo immerge nell’ignoranza e nella paura, ma soprattutto lo spinge alla separazione, lo spinge a vivere nello stato continuativo della separazione. L’ambizione è la prigione in cui il potere umano, al servizio e alle dipendenze di Satana, tiene in scacco l’intera umanità, perché l’ambizione mantiene l’uomo nell’ignoranza, nella paura e nella separazione.
La proposta di Gesù, perché l’uomo possa svincolarsi dall’ambizione e dalla coltivazione dell’ego, è: se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti. La proposta di Gesù è semplice, due semplici procedure. Primo, essere ultimo. Nella terminologia evangelica, essere ultimo è vivere in modo tale da non fare nulla, assolutamente nulla nella vita, per la gloria degli uomini, per la gloria del proprio nome, per essere i primi in qualcosa, per avanzare di grado, per solleticare l’approvazione altrui, per corrispondere alle aspettative altrui, per espandere la propria reputazione, il proprio prestigio e dominio. Secondo, essere servi. Nella terminologia evangelica, essere servi non significa essere schiavi, sottomessi, ma essere al servizio dell’umanità, essere servitori utili ed efficaci dell’uomo, avere le competenze indispensabili per realizzare il vero benessere dell’umanità e metterle in pratica gratuitamente e umilmente per il bene di tutti.