Mercoledì 16 Maggio 2018

Questa sezione presenta quotidianamente il Vangelo del Giorno accompagnato da una riflessione, insieme all'antifona e al Salmo corrispondente, che in alcuni particolari periodi dell’anno liturgico potranno essere musicati e cantati. Ogni giorno potrai vivere la Parola, leggerne il commento e scaricare tutto in formato PDF dalla sezione sinistra del sito.

Parola del giorno
Atti degli Apostoli 20,28-38; Salmo 67,29-30.33-36; Vangelo di Giovanni 17,11b-19

Vangelo di Giovanni 17,11b-19

In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi al cielo, pregò dicendo: 11 «Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi.
12
Quand’ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittura. 13 Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. 14 Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo.
15
Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. 16 Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo.
17
Consacrali nella verità. La tua parola è verità. 18 Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; 19 per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità».

Uno

Perché siano una sola cosa, come noi, letteralmente è scritto: affinché siano uno [greco: hèn] come noi. Hèn è il numerale cardinale, indica “uno”. Tradurre hèn con una cosa sola, rispetto al senso esplicitato da Gesù, è debole e non apre al valore conoscitivo e spirituale di questa preghiera di Gesù al Padre. Questo hèn, “uno”, questo siano uno come noi, è il cuore della preghiera di Gesù al Padre, l’apice della sua richiesta filiale, non è un’invocazione generica. Gesù prega il Padre perché i suoi amici e discepoli sulla terra siano uno come lui è uno con il Padre. Gesù sa esattamente cosa chiedere al Padre perché l’essere uno dei discepoli sia assicurato nella storia: custodisci loro nel tuo nome. Il vangelo usa il verbo terèo – dal sostantivo tèros, “custodia” – “sorveglio, faccio la guardia, conservo, salvaguardo, preservo, proteggo, custodisco”, di conseguenza anche “osservo”, e, ancora, “bado a qualcosa per difenderlo, proteggerlo”. Gesù lega indissolubilmente la possibilità dei suoi amici di essere uno con il fatto che Dio custodisca e protegga questi uomini e donne letteralmente dentro il suo nome. Perché è così importante per i discepoli di Gesù essere uno? Che senso ha?
Rinnegando Dio, l’uomo ha rinnegato il suo vero io che era uno con Dio, quell’io a immagine e somiglianza di Dio, voluto, scelto, amato, prediletto dal Padre come il frutto del suo amore creativo, un frutto di vita senza fine, dalle caratteristiche uniche e straordinarie, irripetibili e regali. Rinunciando al proprio io divino, l’uomo, per sopravvivere nel sistema dell’addestramento di questo mondo, è stato costretto a inventarsi, a costruirsi un io mentale, un ego virtuale, tessuto sulle aspettative degli altri e rattoppato sulle ferite ricevute, un ego del tutto finto e irreale ma capace di gestire il tutto della vita umana, un ego che ha preso il completo sopravvento sull’io divino e spirituale. L’ego inventato è una creatura mentale, un’invenzione di se stessi che già dal suo concepimento è divisa in sé e separata dall’Uno e dal Tutto di Dio. L’ego per sua stessa natura, perché è nato nella mente umana per istigazione di Satana, non può che vivere di invidia e avidità e alimentarsi di competizione, possesso, immagine, confitto. Ora, fino a che l’uomo non sarà consapevole di questo ego che pilota completamente la sua vita in tutte le sue dimensioni, e consapevolmente non sarà disposto a rinunciare a questo ego separato, a quale scopo cercare unità e unione, condivisione e pace tra le persone? E soprattutto, con quale risultato possibile? Quando più ego si aggregano insieme per vivere in nome di Dio, o di un compito, di un lavoro, di una missione, umanitaria, religiosa o militare che sia, non possono fare a meno di invidiarsi tra loro ed entrare in perenne separazione e conflitto. Questa energia conflittuale di separazione può essere gestita per un fine comune solo convogliandola in obbedienza cieca e in forme di sottomissione articolata, attraverso la gerarchia e le forme istituzionali che gli ego aggregati devono per forza riconoscere come entità superiori. In questo modo gli ego aggregati diventano gregari al comando di un superiore, di un capo, di un comandante. Questo meccanismo di controllo degli ego è indispensabile e funziona allo stesso modo e con gli stessi risultati tanto in una caserma militare quanto in un monastero, tanto in una comunità religiosa quanto in un posto di lavoro. Il controllo degli ego aggregati può gestire e convogliare l’energia di separazione e di conflitto in un obiettivo comune, ma alla fine genera sempre, irrimediabilmente persone infelici, sottomesse, assetate di potere e posizioni sociali, ma soprattutto persone incapaci di essere autosufficienti e indipendenti. L’obbedienza cieca e la sottomissione articolata della gerarchia creano persone letteralmente incapaci di una proficua autonomia e di una serena interdipendenza. È questo perverso meccanismo a comportare il fatto, del tutto evidente e inevitabile, che più si sale ai vertici delle gerarchie militari, politiche, economiche, religiose, più le persone sono realmente dominate dall’ego, incapaci di relazioni, fredde, svuotate dentro e inconcludenti. Tra tutti i sistemi di aggregazione degli ego, quello di stile devozionale e religioso, quello creato per servire Dio e il popolo di Dio, è il più pericoloso in assoluto. Tutto proteso com’è all’unità come il primo degli obiettivi, alla comunità come il primo dei riferimenti, all’unione degli intenti come il primo dei valori non porterà mai nessun risultato benefico e reale alle persone aggregate, perché ogni volta che si opera per creare unità e unione di ego separati che pensano di voler servire Dio, si genera sottomissione religiosa, non l’evoluzione dell’uno spirituale della persona. Mai quanto l’aggregazione di ego religiosi genera la necessità di un ego capo, di un ego superiore che, non avendo ovviamente alcuna reale autorevolezza spirituale e amante rispetto agli altri ego, deve per forza farsi obbedire come fosse il rappresentante di Dio. Ogni sforzo, precetto, legge, comportamento, atto di volontà, senso di dovere proteso alla creazione della comunità religiosa, essendo in realtà una spinta a mettere in collaborazione degli ego separati e in perenne conflitto tra loro, ha comunque un’utilità sociale importante e indiscutibile per il sistema dell’addestramento del mondo e del Principe Satanico. La funzione delle aggregazioni di ego separati, costruite in nome di Dio, è di assicurare, come nessun’altra aggregazione umana, il controllo e la soppressione di eventuali ego che, per ispirazione divina, desiderano ritrovare il proprio io divino e riattivare la potenza, la regalità, la nobiltà del loro essere figli di Dio Padre Onnipotente e non schiavi di un sistema di sottomissione umano. Per questo Gesù, quando ha inviato i suoi nel mondo per guarire i malati, cacciare i demoni, e annunciare il vangelo, li ha mandati a due a due. Due discepoli di Gesù che sono in cammino per il mondo, prima di tutto sono in cammino per imparare a rinnegare il proprio ego e, fino a che sono in due, e due soli, anche se sono due ego molto attivi, separati e in conflitto, è difficile, se non impossibile, che si crei in loro obbedienza cieca e sottomissione articolata, ossessioni e manie da incetta di cariche e di onorificenze, sete di dominio. 
Ecco cosa Gesù chiede al Padre per i suoi amici e discepoli: che il Padre immerga ciascuno di loro nel suo nome che è Uno, perché, così amorevolmente e pienamente immersi nel nome e nell’essenza di Dio che è Uno, i discepoli non abbiano più bisogno di rinnegare se stessi e di costruirsi l’ego separato e in guerra. Rimanere uniti in Dio, sempre, perennemente in Dio, sentirsi ogni secondo e istante uno nell’Uno di Dio, è il modo più potente ed efficace per spegnere l’ego separato. Ecco cosa chiede Gesù al Padre per i suoi. Non chiede unità aggregativa, nemmeno un generico suggestivo quanto inutile sentirsi una cosa sola, e nemmeno un psicologico bisogno compulsivo di comunità e di stare insieme, ma essere uno nell’Uno, per non essere mai più divisi prima di tutto in se stessi. Essere uno come lo intende Gesù è un cambio di DNA spirituale, è la scelta di cedere per sempre la sovranità del proprio ego in favore della vitalità e dell’unicità del proprio essere divino creato da Dio. Rinnegare l’ego è il primo atto di fede in Dio. Solo la vivacità, la nobiltà, l’autonomia, la capacità d’indipendenza e interdipendenza di tanti io risvegliati e liberi può formare una comunità potente, liberante di uomini e donne felici e in pace.

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