Veni

Giovanni 16,13-15

Epicelsi, dal greco epiclesis, formato da epi kalein, “sopra chiamare”, è l’azione di invocare con il cuore e nel gesto delle mani stese, di invocare, di chiamare sopra realtà o persone la potenza di Dio, in particolare la potenza del suo Spirito, il Santo Paraclito. È il gesto del consacrare. In senso stretto è il momento in cui durante l’Eucaristia, con il gesto e le parole, il celebrante consacra il pane e il vino perché diventino il corpo e il sangue di Gesù. L’epiclesi, chiamare sopra il Paraclito, è l’azione suprema della chiesa, la chiesa che per mandato e missione ha il compito di chiamare e invocare il Paraclito sopra la vita degli uomini e di insegnare agli uomini a fare altrettanto sopra le vicende, i momenti, le persone, le azioni, i cuori e le menti, perché nulla della vita sia senza il respiro, le ali, la pace, l’armonia dello Spirito.
Il segno di croce è forse la forma di epiclesi più semplice e quotidiana che i credenti possano compiere sempre e ovunque. Il segno di croce si inizia recitando nel nome del Padre e sfiorando con la punta delle dita la fronte, il punto più alto della persona, che simbolicamente rappresenta il principio generante, la volontà creatrice e onnipotente, Dio Padre. Si continua dicendo del Figlio, mentre si tocca il centro del petto, dove abita il cuore, sede dei sentimenti, il centro della persona umana, fatta di carne e spirito, persona umana in cui si è incarnato Gesù, il Figlio Gesù che salva l’uomo da dentro, dal cuore. Si termina recitando e dello Spirito Santo, sfiorando con la punta delle dita l’angolo esterno delle spalle da sinistra a destra, indicando così in un gesto semplicissimo la natura stessa dello Spirito, che soffia e vive in ogni direzione, come il vento che nessuno sa da dove viene e dove va. Si esegue così su tutta la persona un segno, il segno di croce, che prima ancora di essere un segno della croce è il segno della persona umana che si mette in comunicazione con Dio. In verità è la croce che ripete la forma della persona umana e non viceversa. Nel segno di croce si invoca e si proclama il nome dell’unico Dio, nella trinità delle persone Padre, Figlio e Spirito Santo, come Gesù ce lo ha fatto conoscere.
Ora, il nome di Dio Padre creatore e onnipotente, in modi diversi e con nomi diversi, è comunque entrato nei secoli e nei millenni nel cuore dei popoli, non sempre magari come reale e determinante riferimento spirituale di fede, ma è comunque presente nell’inconscio collettivo, nella vita della gente, nella quotidianità, nella terminologia, nelle preghiere come nelle bestemmie. Il nome di Dio è drammaticamente invocato prima delle guerre da una parte e dall’altra della barricata, e lo possiamo trovare beffardamente stampato anche sulla carta del denaro.   
In qualche modo anche per il nome di Gesù è così. Migliaia d’anni di profezie messianiche presenti in ogni testo religioso della terra, un’attesa mai spenta di tutta la storia umana di un messia liberatore. Duemila anni di storia della chiesa incentrati sulla Parola e sulla figura di Gesù Cristo hanno certo creato attorno a Gesù tanto interesse quanto conflitto, rispetto quanto disprezzo, amore e persecuzione. Il nome di Gesù è entrato nelle invocazioni comuni, nei musical, nei film, nelle biblioteche di tutto il mondo con pubblicazioni numerose, seconde solo al nome di Dio.
E lo Spirito? Lo Spirito Santo? Lo Spirito Santo è ancora un nome e una presenza quasi sconosciuti. Se si potesse dire con un gioco di parole, una presenza perfino più invisibile dell’invisibile presenza di Dio. Perfino nella teologia cattolica, nelle preghiere, nella cultura spirituale del popolo di Dio non ha ancora uno spazio di riflessione e di conoscenza proporzionato. I motivi che determinano questa lentezza storica e spirituale dell’apertura dell’uomo allo Spirito Santo saranno moltissimi e di certo non tutti comprensibili per ora e per noi. Gesù ci fa conoscere un nuovo volto del Padre, di Colui che si era rivelato ad Abramo e al popolo migliaia d’anni prima. Gesù ci fa conoscere se stesso, Figlio di Dio fatto carne, una cosa sola con il Padre, la Via, la Verità, la Vita, una novità preannunciata in tutta la bibbia, ma troppo nuova per essere accettata dall’uomo, la croce ne è un segno inequivocabile. Gesù ci fa conoscere anche il volto dello Spirito, che lui chiama il Paraclito, parola dal duplice simultaneo e sincrono significato di consolatore e difensore. Ci fa conoscere il volto dello Spirito, un volto in cui l’umanità probabilmente ancora troppo giovane e inesperta fatica a riconoscersi e ritrovarsi.  
Ma che posto e che tipo di presenza ha il Santo Paraclito nei vangeli, nella vita di Gesù?
[…] Da quello che il vangelo ci rivela, il Santo Paraclito non è una presenza periferica e occasionale, ma assolutamente centrale e continua nella vita di Gesù, dei suoi discepoli e della chiesa. Secondo il racconto evangelico nulla accade senza la potenza e la presenza dello Spirito. Lo Spirito è ovunque, ovunque manda, si avventa, sospinge, agisce, precede, guida, glorifica, discende, fortifica, fa crescere, rinnova, immerge, difende, rimane, conduce, fa nascere, fa rinascere dall’alto, soffia, rivela, si fa sentire e fa sentire, annuncia, scaccia il male, consola, è senza misura, è potenza di perdono, è libero.
La Pentecoste stessa, meravigliosa effusione dello Spirito sugli apostoli, assolutamente fondamentale e indispensabile per la chiesa nascente, è uno, uno dei momenti dello Spirito che simbolicamente li raccoglie e dispiega tutti, ma è uno dei momenti dello Spirito, non l’unico momento dello Spirito come ci si può abituare a considerare. Lo Spirito è ovunque in totale abbondanza nella vita di Gesù e della chiesa.
Se ci si potesse esprimere attraverso la povertà delle piccole parole umane, il Padre è il Tutto, il Figlio è il Sempre, il Paraclito è l’Ovunque.
L’Ovunque Spirito Paraclito che la chiesa invoca nell’epiclesis – epi-kalein, “sopra-chiamare” – è l’anima stessa dell’anima della chiesa. La chiesa è epiclesis. La bellezza, la forza, la novità, la luce della chiesa risiedono nella sua anima stessa: il Paraclito.
Veni, Sancte Spiritu, veni, Paraclite.
Sull’acqua dell’immersione battesimale, perché divenga diluvio di morte al male e principio e scelta di vita nella luce di Dio.
Sull’olio profumato, perché i cresimati diventino una sola cosa con il Consacrato, il Messia.
Sul pane e sul vino, perché diventino il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo per la comunione dei suoi figli.
Sul capo dei debitori, perché siano rimessi i loro debiti, se hanno cuore e umiltà di rimetterli ai loro debitori.
Sulle disarmonie e i disagi umani, perché tutto si rinnovi e rivitalizzi nella pace e nella salute.
Sul capo dei pastori, perché siano servi per grazia, uomini del vangelo innamorati di Dio e della giustizia.
Sulla vita degli sposi, perché i due diventino una stessa carne; così non sono più due, ma una sola carne, una nuova entità che nell’amore fatto perdono possa vivere forte e felice.
L’invocazione latina – lingua universale della chiesa – Veni, Paraclite, “Vieni, Paraclito” in italiano, racchiude l’incommensurabile desiderio consapevole o meno dell’umanità di essere rinnovata da dentro con la forza e la luce dello Spirito.

Nota per il lettore
La canzone Shiloh è tratta dall’opera Shiloh, cd e libro, Paolo Spoladore, Ed. Usiogope, Venezia, 2009.

Lyrics

Quando Lui verrà
Lo Spirito di verità
Lui vi precederà
In tutta la Verità
Lui non canterà da sé
Canterà quanto ascolterà

Veni Paraclite
Veni Paraclite

Lui vi annuncerà
L’avvento delle cose
Che verranno
Lui mi glorificherà
Perché da me
Lui prenderà
Lui non canterà da sé
Canterà quanto ascolterà

Tutto quello che il Padre
Possiede è mio
Per questo io vi ho detto
Lui prenderà del mio prenderà del mio
E ve lo annuncerà
Lui non canterà da sé
Canterà quanto ascolterà

Veni Paraclite
Veni Paraclite

Il brano è contenuto nell’opera Shiloh, CD e libro, di Paolo Spoladore, Ed. Usiogope, Venezia, 2009.