La metànoia, il mutamento interiore verso la luce e l’amore, che Gesù dona all’uomo, porta con sé inevitabilmente gioia, gioia grande, gioia da condividere e mangiare insieme, perché la gioia è il vero cibo dell’anima.
Gli infelici, gli insoddisfatti mangiano rancore, mormorazione e giudizi, masticano senza sosta leggi e precetti, morali e doveri. Secondo quale legge e costituzione Gesù, il Figlio di Dio, non può gustarsi la sua cena d’amore con Levi e i suoi amici? Forse che Dio non può sedersi a tavola con i suoi figli e mangiare in pace senza per forza distinguere tra giusti e peccatori? E poi chi è il giusto, chi è il peccatore, e secondo quale criterio? Il fatto che il Signore della vita ci venga a visitare nella pace e nell’umiltà e ci indichi con amore le sue procedure di vita, forse ci offre il finto diritto di ragguagliarlo su come deve comportarsi, come deve giudicare, come deve muoversi tra i suoi figli, come deve giudicare? In quale modo la stupidità può estendere più radicalmente il suo dominio, se non con il pregiudizio secondo cui Dio la pensa esattamente come noi sulle faccende della vita, sul modo di giudicare gli altri e le cose? Di quanta insoddisfazione e invidia deve essere avvelenata l’intelligenza, tanto da vietare a Dio di godere totalmente della rinascita di un suo figlio alla vita vera? Quale inviolabile stoltezza e glaciale grettezza ha stabilito per l’uomo l’impossibilità di non essere nella gioia, quando in realtà, nella misericordia di Dio, sente di poter rinascere dai propri errori e dalle proprie mancanze di amore?
Nella vita o si mastica rabbia e veleno, furiosamente abbuffati alla tavola dell’arroganza di Satana, o si mangia gratitudine e gioia, festosamente seduti in umiltà alla mensa del perdono di Gesù.